In questi due anni di crisi i prestiti alle imprese si sono assottigliati. Le partecipazioni in mano alle banche invece sono cresciute.
In questi anni di crisi gli istituti si sono trasformati sempre più da finanziatori in soci. La ripatrimonializzazione collegata a Basilea 3 rappresenta una occasione unica per tornare a fare buon credito alle imprese. Credito con cui finanziare l'internazionalizzazione, la crescita dimensionale, l'innovazione di prodotto e di processo. 

Analizzando le statistiche della Banca d'Italia, si scopre che le azioni in imprese non finanziarie detenute direttamente dagli istituti a fine 2010 valevano 71,5 miliardi di euro. L'equivalente di nove Fiat. Società di costruzioni, imprese industriali, holding di servizi. Una parte crescente del cuore in affanno del capitalismo italiano è in mano alle banche. A fine 2008 era pari a 60,7 miliardi. Nell'arco di soli due anni il portafoglio della Azienda Italia in capo alle banche è lievitato del 18 per cento. Nello stesso periodo, i prestiti sono aumentati solo del 10 per cento. Il loro ritmo di crescita, dunque, è la metà dell'intervento diretto nel capitale. «Il dato colpisce - osserva l'economista Giovanni Ferri, ex World Bank ed ex Bankitalia -.
Le banche, anziché dare credito, preferiscono prendere quote delle aziende. Spesso lo fanno per convertire in capitale i fidi che le imprese non riescono a restituire». Dice Vincenzo Consoli, ad di Veneto Banca e membro del cda di Palladio Finanziaria, la Mediobanca del Nord-Est: «Può capitare che, per gestire una ristrutturazione, l'istituto converta direttamente prestiti in capitale. Ma si tratta di operazioni collegate alla congiuntura. La commistione fra credito e industria è in sé deleteria»

Fonte: Banca d'Italia