Gaia Trussardi: io, papà e l’invenzione delle caramelle
Ha 35 anni e due figli. Da un anno è direttore creativo della maison «La musica è il mio prossimo progetto».
Si definisce «creativa e razionale. Determinata e lunatica. Insicura negli affetti, ma mai sul lavoro». Gaia Trussardi, 35 anni oggi, un figlio e una figlia, di 8 e 6 anni, da un anno è direttore creativo del marchio fondato dal nonno Dante e reso celebre dal padre Nicola. Lo porta avanti con il fratello Tomaso (amministratore delegato) e la sorella Beatrice, presidente del gruppo e della Fondazione. «Mi arrabbio quando mi dicono che sono giovane. Ho 35 anni, tra un po’ veramente devo andare a fare il lifting. Sono 12 anni che lavoro in azienda. Quello di assumere il ruolo di direttore creativo totale è stato un processo naturale». Dice che i suoi studi di sociologia in Inghilterra l’aiutano a cogliere i reali bisogni della gente. Come il padre, che non a caso si era guadagnato il titolo di imprenditore della moda, ritiene che l’eccentricità debba inchinarsi sempre alle esigenze del quotidiano. «Certi tessuti di grande effetto in sfilata poi restano invenduti», spiega. Mentre lavora alle sei collezioni, la prima e la seconda linea (Tru-Trussardi) uomo e donna, quella denim, oltre agli accessori, Gaia è pronta a lanciare la una nuova licenza di arredamento per la casa, in collaborazione con Luxury Living Group di Alberto Vignatelli: «Divani, letti, sedie, poltrone, tavole, lampade e tappeti. Poi arriveranno coperte e cuscini». Sarà presentata al Salone del mobile (8-13/4). «Avremo un grande stand alla fiera di Rho Pero e faremo un evento qui nella boutique di piazza Scala».
Già negli anni 80 suo padre parlava di Life style, che cosa è cambiato?
«Mio padre aveva creato un linea di design completa, c’erano anche i piatti, bellissimi, le piastrelle effetto coccodrillo. Nel bagno dell’ufficio le aveva messe nere, in quelli di casa di diversi colori, rosa il mio, azzurro quello di mio fratello, bianco per mia sorella, ogni figlio aveva il suo bagnetto. Aveva griffato anche righelli, tagliacarte, biro, stilo, compasso, goniometro, pipe, perché aveva il pallino della cartoleria, come me del resto: il Dna non è uno scherzo. Aveva persino creato delle caramelle assurde, fuori menta dura e dentro cioccolata. Piacevano solo a lui, ma era un imprenditore vero. Voleva dare un’estetica a tutto. Il risvolto commerciale veniva dopo, la sua era più un orgoglio, una voglia di condivisione».
Qual è il suo tocco alla collezione casa?
«Abbiamo lavorato a quattro mani con l’architetto Carlo Colombo perché, essendo una licenza, c’è anche bisogno di pensare alla vendita. Io ho cercato di portare armonia e ritmo, mirando a un equilibrio tra il freddo della contemporaneità e il caldo della tradizione. Come la seggiola in pelle con la struttura in metallo brunito, o le sedute in pelle che mischiano il colori naturali a quelli pop».
Com’è la casa ideale di Gaia?
«Di gusto milanese. In un contenitore d’epoca con parquet e stucchi, arredi moderni e magari qua e là qualche pezzo antico ma con twist ironico. Per esempio io ho rivestito in pelle rossa le poltroncine di fine ottocento di mia nonna».
Tra i progetti c’è la musica, è intonata?
«A Londra dove ho vissuto dai 18 ai 23 anni, per oltre un anno ho composto canzoni con un ragazzo. Poi gli eventi mi hanno fatto tornare in Italia a lavorare. Ho ripreso a suonare qui con una formazione rock e abbiamo fatto anche un tour, ma un produttore ci ha snaturato, le chitarre sembravano tastiere con un effetto un po’ Paola e Chiara... Oggi mi piace fare ricerca. Scelgo le musiche per le sfilate e i video. E voglio continuare a ospitare show case nel dehors del Café Trussardi come è già accaduto con Joan As Police Woman, gli Editors e altri».
Il suo look ideale?
«Sono da pantalone: in pelle, con le pinces o denim, blusa in seta e blazer. Se il sotto è elegante il top è più casuale e viceversa».
Che cosa ha in comune con suo padre?
«L’incapacità di restare ferma, il bisogno di andare di corsa e fare sempre qualcosa. Anche nel week end. E poi l’idealismo, il senso fortissimo della famiglia e dei figli e l’ambizione».
E Tomaso invece?
«Lui ha ereditato il carisma. Quando entrava in una stanza tutti si giravano».
Fonte: Corriere della Sera