Perché mai solamente nell'ultimo quarto di secolo – in Italia da assai meno – si è diffuso il convincimento secondo cui la questione di genere costituisceoggiperl'impresauna delle sfide più impegnative per la sua stessa sostenibilità? In parallelo con l'evento della globalizzazione e soprattutto della terza rivoluzione industriale – l'ingresso sistematico delle tecnologie infotelematiche nel processo produttivo – le economie di mercato di tipo capitalistico sono andate soggette a un mutamento di fase. Mentre il capitalismo della modernità – che aveva separato, anche in senso fisico, i luoghi di vita familiare dai luoghi di lavoro – vede la donna vocata principalmente al lavoro riproduttivo, il capitalismo della post-modernità va facendo rientrare a pieno titolo la donna anche nel sistema del lavoro produttivo.

La grande novità delle nuove tecnologie è quella di rendere obsoleta (e quindi scarsamente produttiva) l'organizzazione tayloristica del lavoro. Il 1911 è l'anno di pubblicazione in America della fondamentale opera di Frederick W. Taylor che si richiama esplicitamente all'insegnamento dell'inglese Charles Babbage dei primi dell'Ottocento sulla divisione del lavoro e della cui nefasta influenza sulla condizione della donna scriverà poi il grande economista (e filosofo) John Stuart Mill nel celebre saggio The subjection of women del 1869. Ebbene, come tutti gli esperti di organizzazione aziendale ben sanno – eccetto coloro che ancora si ostinano a leggere la realtà con gli occhiali dell'homo oeconomicus – una gestione vincente dell'impresa nelle condizioni attuali postula che vengano adottati principi e vengano trasferiti nell'agire quotidiano valori rispetto ai quali la donna esibisce un marcato vantaggio comparato nei confronti dell'uomo. Di che si tratta? Del principio di equità; del principio di reciprocità; del bilanciamento tra motivazioni estrinseche e motivazioni intrinseche.

La letteratura di economia sperimentale sul gioco dell'ultimatum ha abbondantemente confermato che le donne sanzionano i comportamenti considerati iniqui in misura marcatamente superiore rispetto agli uomini. Come a dire che le donne, coeteris paribus, sono portatrici di un più forte senso di equità degli uomini. Oggi sappiamo che il fattore decisivo che concorre a sostenere la cultura aziendale e ad alimentare la fiducia entro l'azienda è l'equità. Mai un manager potrà trasmettere fiducia all'interno della propria compagine e quindi mai potrà essere obbedito se i suoi collaboratori scoprono che si comporta in modo iniquo. Discorso analogo è quello che riguarda il principio di reciprocità. L'economia comportamentale, oltre che la psicologia e la sociologia, ci confermano che nella pratica della reciprocità le donne sono molto più avanti degli uomini, questi ultimi sono invece superiori nella pratica dello scambio di equivalenti. Dunque alle donne viene spontaneo applicare nei contesti lavorativi il paradigma della razionalità espressiva piuttosto che quello della razionalità strumentale. E oggi è l'applicazione del primo paradigma di razionalità a dare i risultati migliori e soprattutto più duraturi. Due metafore illustrano con efficacia la differenza fra le due forme di razionalità: il mito di Ulisse e quello di Orfeo. Ulisse desidera ascoltare il canto delle Sirene, ma sa che quell'ascolto è distruttivo. Seguendo allora il consiglio di Circe, si fa legare all'albero della nave e impone ai suoi marinai di mettersi la cera nelle orecchie per non udire nulla. Ulisse è dunque strumentalmente razionale, perché ha scelto il mezzo migliore per raggiungere il suo fine. Ma quale il prezzo pagato per questo comportamento? Duplice: la perdita, sia pure temporanea, della libertà (quando si è legati, la libertà viene come sospesa); l'ingiustizia sociale, perché ai marinai non è consentito di trarre beneficio dal canto celestiale delle Sirene.

Consideriamo invece la storia di Orfeo. Quando Giasone con i suoi argonauti sceglie di andare alla ricerca del vello d'oro, decide di imbarcare Orfeo, un soggetto che non ha la forza di remare, né altre abilità, ma che sa suonare molto bene la lira. Quando la nave degli Argonauti giunge in prossimità dell'isola, Orfeo inizia a suonare e accade che la sua armonia, unendosi al canto delle Sirene, ne annulla l'effetto malefico. Anche Orfeo è dunque razionale, ma la sua razionalità espressiva è di ordine superiore a quella di Ulisse, perché non deve pagare il prezzo che la razionalità strumentale sempre comporta. Il segreto è nell'impiego da parte di Orfeo del principio di reciprocità. A livello aziendale un modo spedito di accertare la predisposizione dei lavoratori ai due paradigmi di razionalità è quello di sottoporre uomini e donne alle tecniche del feed-back e del feed-forward. Si troverà che, mentre gli uomini eccellono nel feed-back, le donne prevalgono nel feed-forward, grazie alla loro maggiore capacità di relazionamento reciprocante. Un'osservazione finale a proposito delle motivazioni che muovono all'azione un soggetto. Sappiamo che tre sono le tipologie di motivazioni: estrinseche (si lavora per la remunerazione e/o il prestigio che se ne ricava); intrinseche (il lavoro che si svolge è un fine in sé che concorre ad affermare la propria identità); trascendenti (si opera per produrre economie esterne, cioè vantaggi che accrescono il bene comune). I tre tipi di motivazione sono presenti in tutte le persone, sia pure in proporzioni diverse e ciò in relazione all'educazione ricevuta, alla matrice culturale della società di appartenenza, al genere umano. Ebbene, si dimostra che, a parità delle prime due determinanti, il sistema motivazionale delle donne vede la prevalenza delle componenti intrinseche e trascendenti, mentre quello degli uomini vede la prevalenza della componente estrinseca. Quale la rilevanza pratica di tale scoperta? Per un verso, che la donna tende a privilegiare la competizione cooperativa – quella del win-win – piuttosto che la competizione posizionale – quella del super star effect: the winner takes all, the loser loses everything. Ora, non vi è chi non veda come, con l'attuale traiettoria tecnologica basata sul lavoro di squadra, sia la competizione cooperativa a ottenere i migliori risultati. L'altra implicazione importante è che, laddove le persone sono indotte all'azione principalmente da motivazioni estrinseche, grande è il rischio che l'avidità – oggi la forma più sottile e devastante di quel vizio capitale che è l'avarizia – prenda possesso del management aziendale guidandone l'azione verso l'adozione di strategie fallimentari. La recente crisi economico-finanziaria, tuttora in corso, ne è la testimonianza più convincente ed eclatante.

Fonte: Il Sole 24Ore