I numeri mostrano che il servizio di archiviazione "remota" dei dati sarà la prossima rivoluzione dell'informatica. Il governo Cameron punta a fornire servizi pubblici a costi più bassi, le aziende a ridurre il personale anche del 30%. Sindacati preoccupati, ma nuovi posti di lavoro potranno venire dalle start up 

Se il 2012 è stato l’anno del social, il 2013 sarà l’anno del cloud computing. Lo dicono società di ricerca del settore come Gartner, lo rivelano dati e numeri provenienti dalle aziende quotate nelle principali piazze finanziarie mondiali. E, in Paesi come il Regno Unito, uno dei più attivi nel settore, lo indicano anche le prese di posizione del governo, che ha deciso di investire milioni di sterlinesulla possibilità, per aziende e amministrazioni pubbliche, di lavorare in remoto, in una “nuvola” appunto, al di là delle infrastrutture fisiche e gestendo una mole di dati enorme.
Le analisi più efficaci, in Gran Bretagna, provengono dalla London School of Economics, che già da qualche anno monitora il settore del cloud computing. Numeri certi a livello britannico non sono disponibili, ma se è vero che nel 2016, a livello mondiale, tutto quello che ruota attorno all’informatica creerà un giro d’affari di 4.300 miliardi di dollari, per un totale di tre miliardi di persone attive online, è facile capire come al di là dell’Oceano Atlantico, negli Stati Uniti, e al di qua, nel Regno Unito, il nuovo mondo del cloud sia veramente una terra di conquista tutta da esplorare.
 
Gli operatori del settore amano dire che il cloud computing è per l’hardware quello che l’open source è stato per il software. E, così come aziende e governi hanno investito nei programmi “free” e aperti a tutti, allo stesso mondo, gli stessi governi e le stesse aziende stanno concentrando tanta energia sulla nuvola virtuale. Denise McDonagh, direttrice del programma G-Cloud del governo britannico, spiega a ilfattoquotidiano.it: “Prima del cloud computing dovevamo gestire, con grandi spese, una quantità enorme di infrastrutture. Ora possiamo arrivare agli stessi risultati tagliando costi e procurando risparmio del quale possono sicuramente beneficiare quei contribuenti che vogliono vedere il loro denaro speso bene”.
 
Il programma avviato dal governo di David Cameron, continua McDonagh, “è una strategia per fornire servizi pubblici più economici, più rapidi e più efficienti”. In pratica, quella che è stata avviata è “una piattaforma in cui amministrazioni pubbliche e fornitori di tecnologia si incontrano per scambi commerciali. Le amministrazioni comprano tecnologia in modo più veloce e più economico. E, al momento, dalla creazione della piattaforma, si sono avute transazioni commerciali per oltre 4 milioni di sterline”.
 
Ma, nel Regno Unito, non è solo il settore pubblico a occuparsi di cloud computing e nuvole virtuali. Secondo l’ultimo rapporto realizzato dalla London School of Economics per conto di Microsoft, nel Regno Unito le aziende che decidono di lavorare nel cloud possono ridurre lo staff e anche costi di energia e infrastrutture. Molte conseguenze, quindi, sul mercato del lavoro: qualche sindacato britannico si sta già accorgendo delle implicazioni negative sul tasso di occupazione, anche se più cloud computing vuol dire anche più aziende che lavorano in questo settore, più startup e più investimenti.
 
Intanto, dati provenienti dal settore privato britannico lo dimostrano: il cloud computing consente un risparmio del 30% per quanto riguarda il costo del personale e del 50% per quanto riguarda il costo delle infrastrutture. Una tecnologia, quindi, al passo con questi tempi di crisi economica. “Processi più agili e più dinamici hanno soprattutto un vantaggio: costano meno a chi paga le tasse”, conclude McDonagh.