Software, genetica, agricoltura: signore, in azienda c’è posto per voi
Si diplomano e si laureano meglio dei colleghi maschi. Ma poi ad emergere è solo una piccola parte. In tutta Europa, su 100 ragazzi sono 55 le femmine che si iscrivono all’università, contro 45. La testa della classifica però resta rosa solo fino al titolo di dottore: da lì in poi le differenze si assottigliano; e la forbice si allarga man mano che si va avanti con la carriera. I dati più recenti sono quelli di Almalaurea. Che ha anticipato nei giorni scorsi alcune parti del rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati italiani.
Tra chi ha una laurea specialistica biennale – dice l’associazione - le differenze fra uomini e donne sono significative già a un anno dal conseguimento del titolo: 7,5 punti percentuali. Cioè lavorano 55,5 donne e 63 uomini su cento. Le donne si dichiarano più frequentemente alla ricerca di un lavoro: 32% contro il 24% degli uomini. A un anno dalla laurea gli uomini possono contare più delle colleghe su un impiego stabile (39 contro 30%). E guadagnano il 32% in più (1.220 euro contro 924 euro mensili netti). Le laureate con figli lavorano e guadagnano meno rispetto delle donne senza figli. Dopo cinque anni, le differenze di genere “pesano” 6 punti: lavorano 83 donne e 89 uomini su cento. Il lavoro fisso, una prerogativa maschile: può contarci l’80% degli occupati e il 66% delle occupate.
Ma esiste un mondo di donne che sta mettendo a fuoco un filone nuovo di opportunità. E sta passando il messaggio alle giovani leve. Sono ricercatrici, docenti, imprenditrici. “Tecnovisionarie”, le definisce Gianna Martinengo, imprenditrice e fondatrice dell’Associazione Donne e Tecnologie. Ogni anno si mettono in gioco con un premio e una conferenza dedicate al binomio, andando oltre la problematica “di genere”. Tecnologie e innovazione gli strumenti per identificare e valorizzare il talento femminile.
In un incontro milanese l’Associazione ha chiamato a raccolta un pool di esperte per intavolare un dibattito aperto sulle professioni emergenti nei settori dell’Alimentazione, della Salute e dell’Ict, in Italia e in Europa. Tra il pubblico studenti, giovani laureati, docenti e genitori interessati a scoprire e capire come orientarsi in mercati che presentano ampi margini di crescita e di novità.
In un incontro milanese l’Associazione ha chiamato a raccolta un pool di esperte per intavolare un dibattito aperto sulle professioni emergenti nei settori dell’Alimentazione, della Salute e dell’Ict, in Italia e in Europa. Tra il pubblico studenti, giovani laureati, docenti e genitori interessati a scoprire e capire come orientarsi in mercati che presentano ampi margini di crescita e di novità.
A loro, imprenditrici e ricercatrici che sono riuscite a fare della propria passione un mestiere, hanno trasmesso informazioni pratiche e stimoli per la costruzione di percorsi professionali. Nel settore dell’agroalimentare, per esempio. Produzione primaria, trasformazione, consumer science, ristorazione: “mai come oggi l’agricoltura è stata intrisa e interessata dalla tecnologia”, ha detto Marisa Porrini, docente di Nutrizione applicata all’Università di Milano. Oggi si parla di agricoltura di precisione, agrotecnologie, interventi nel rispetto dell’ambiente e della salute, pianificazione e riqualificazione del territorio, si progettano “giardini curativi”. Servono esperti di certificazioni energetiche, di bioenergia, progettisti di alimenti nuovi, con un occhio attento alla preservazione delle tipicità. Figure che si intendano di packaging, consumer science, ristorazione, nutrizione.
Buone anche le opportunità di carriera nel settore farmaceutico: sia nella ricerca più tradizionale – molecole, farmaci, antibiotici -; sia in settori di grande modernità e appeal come la nutraceutica: mix di alimentazione e salute, che immette sul mercato integratori sempre nuovi, in grado di ottimizzare la fisiologia del nostro organismo. “Un comparto che nel 2012 ha registrato una crescita del fatturato del 20% – ha spiegato Marina Carini direttore del Dipartimento di Scienze farmaceutiche all’Università di Milano -. Qui servono figure con competenze trasversali, che sappiano rispondere alle esigenze di più imprese, dall’estrattiva, all’erboristica, dalla farmaceutica, all’alimentare. Che si intendano di distribuzione, sviluppo, aspetti regolativi”.
I percorsi che offrono questi bouquet di competenze esistono. Servono tutor che accompagnino nella messa a punto dei piani di studio. Le caratteristiche di chi si avventura in queste lande? “Competitività ed eccellenza”, le parole chiave, dice Daniela Jabes, fondatrice e presidente di Naicons e NeED Pharmaceuticals.
Ma il campo più trasversale e più promettente è forse quello delle Information & Communication Technologies: “Pronto ad assorbire esperti di mobile, cloud computing, business analitics, ambienti social”, ha detto Anita Longo, docente di Informatica presso il Dipartimento di Scienze dell’economia e della gestione aziendale in Cattolica -. Le carte da giocare sono competenze trasversali e consapevolezza degli intrecci tra globalizzazione, privacy, mercati.
Non sono, non ancora, settori “rosa”. Non negli Stati uniti, dove le donne, che pur coprono il 50% delle posizioni lavorative, non raggiungono il 25% nelle professioni “Stem” (acronimo per Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica). Non in Europa, dove le scienziate donne sono solo il 30% del totale.
E nemmeno in Italia, dove la Fondazione Veronesi ha calcolato che i direttori scientifici donna di Istituti di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) sono appena il 5% e le cattedre universitarie nel ruolo di professore ordinario in campo scientifico sono lontane da una ripartizione equa, anche se nei laboratori, nelle corsie, nelle aule, la componente femminile impegnata in ricerca, didattica e assistenza è vicina al 50%, spesso lo supera.
Secondo la UKRC and Wise, associazione inglese nata per incoraggiare le donne a intraprendere carriere scientifiche, è sei volte più probabile che un ragazzo, piuttosto che una ragazza, scelga professioni nell’ambito delle scienze, dell’ingegneria, della tecnologia o della matematica. E c’è bisogno di sottolineare che a fronte di oltre trecento Nobel per la scienza vinti dagli uomini, solo dodici donne hanno ottenuto premi?
Secondo la UKRC and Wise, associazione inglese nata per incoraggiare le donne a intraprendere carriere scientifiche, è sei volte più probabile che un ragazzo, piuttosto che una ragazza, scelga professioni nell’ambito delle scienze, dell’ingegneria, della tecnologia o della matematica. E c’è bisogno di sottolineare che a fronte di oltre trecento Nobel per la scienza vinti dagli uomini, solo dodici donne hanno ottenuto premi?
Qualcosa però sta lentamente cambiando: i dati della Commissione Europea, riassunti nel Rapporto “She Figures 2012″ rivelano un trend positivo: la quota di donne tra scienziati e ingegneri è cresciuta, tra il 2002 e il 2010, al tasso annuo del 5,4%, contro il 3% della componente maschile. E la Commissione stessa sta cercando di mitigare il problema delle carriere rosa con campagne che sostengono la presenza delle donne nelle organizzazioni scientifiche.
“Le aziende oggi hanno bisogno di una visione diversa per superare la crisi; di umaniste tecnologhe e ingegneri colti” – ha detto Martinengo. Suggerendo ai ragazzi presenti la chiave per farcela: “Più ancora del percorso di studi, è importante la capacità di astrazione”. “Vi state formando per mestieri che oggi ancora non esistono, i cui confini non sono ancora noti agli esperti, userete tecnologie che ancora non sono state inventate”. Su cosa puntare? “La curiosità di sapere. E imparare a imparare”.
Di Antonella De Gregorio
Di Antonella De Gregorio