Fonte: alt

In un momento di estrema volatilità, incertezza, ambiguità e complessità, vecchi modelli sociali si ridefiniscono e vecchie logiche di mercato si rompono formando nuove realtà economico-finanziarie.

 

Nell’era del Web 2.0, il web partecipativo instaura relazioni, esperienze, e si confronta in diretta su un’enorme quantità di contenuti creando nuovo valore incentrato proprio sull’esperienza e nell’interazione tra soggetti. E la transizione è già in atto in quanto il cosiddetto Web 3.0, il semantic web, anche detto “web of thing”, è già oggetto di strategia e di individuazione di nuovi modelli di marketing ed operativi.
Il manager, se così si può ancora chiamare perché necessiterà di un nuovo logo semantico, deve oggi fare i conti con un nuovo modello economico destabilizzante e ricco di nuove sfide. Ecco che la giacca tende ad essere riposta nell’armadio, la cravatta nel cassetto, ed il nuovo modo di interagire, approccio con dipendenti, collaboratori, clienti e fornitori diventa molto più accessibile. Ma come sta cambiando lo scenario in cui si dovrà muovere? Vecchi modelli di business che prevedevano strutturate gerarchie e formali iter burocratici rischiano oggi di far crollare aziende che non intercettano questi nuovi segnali.

 

Sottovalutare l’aspetto della reputazione on line, tema molto attuale e delicato oggi può costare la chiusura dell’azienda come del resto già accaduto ad una catena di fast food americana, vittima di un video su YouTube pubblicato da irriverenti dipendenti, visto da milioni di persone ed ignorato dal management.

In modo molto più veloce di una volta, un video di un dipendente scontento, un commento feroce di un cliente arrabbiato, possono oggi creare danni molto gravi ad un’azienda.
 
Il manager è chiamato quindi oggi ha sviluppare una serie di capacità e abilità di gestione e controllo che prevedono una costante presenza in rete.
L’accessibilità e la velocità, comunicare in modo unificato, e da ogni luogo ed in qualsiasi momento con la possibilità di creare spazi, hanno creato nuove forme collaborative, nuove professioni.


Il lavoratore “nuvola” , il cloudworker, definito da Venkatesh Rao, blogger e ricercatore alla Cornell University, trova un senso in un nuovo modo di concepire la prestazione del proprio talento utilizzando on-demand la tecnologia e gli strumenti di collaborazione.
Il cloudworker è l’evoluzione di una qualsiasi persona che nel lavoro, nello studio, riesce a mettere a frutto il suo talento e le sue passioni e gestisce i suoi spazi creando uno stile di vita più adatto alle proprie esigenze. E’ chi crea nuovi contenuti, chi gestisce informazioni in un contesto dall’essenza impalpabile del mercato (nuvola) apparentemente senza forma e che collabora virtualmente alla “coda lunga” (long-tail) (definizione proposta da Chris Anderson del micro-mercato globale)
 

Ma come sta cambiando la vita umana nel lavoro e nel modo di apprendere e studiare?
Il cloudworker sviluppa in primis un “B2ME”, si occupa di microbrand personale e di capitale umano, di gestione di network sociali, ma anche di ricerca, rompendo quello che tradizionalmente viene concepito come iter tradizionale di carriera. Svolge infatti attività multiple, tradizionali, frammentate, creando conoscenza e sviluppando un approccio flessibile, orientato alla “gestione del dilemma” e ad una costante riprogrammazione di se stesso. Così costruisce la sua carriera ma nell’ottica del principio dialogico, ovvero considerando l’altro che diventa “noi” e producendo relazioni qualitativamente significative.

I nuovi media sono la nicchia, il mercato più interessante in cui il cloudworker si esprime e crea il suo portafoglio diversificato, seguendo la direzione della tendenza e la forma di nuovi scenari che si delineano. Non separa più vita privata da vita professionale, ne trova virtù invece in una forma di equilibrio ed alchimia. E’ per questo che è più orientato a ridisegnare la mappa più che a mantenere vecchie posizioni acquisite. Potrebbe essere assimilato ad un giardiniere o ad un agricoltore, attento curatore del suo network sociale, dinamico e sinergico all’interno della geografia relazionale della sua blogosfera, area Twitter, Facebook, Friendfeed etc.
Utilizza strumenti tecnologici di cui ne è consapevole e non schiavo, e predilige un ambiente lavorativo stimolante e creativo. Ecco che lo possiamo vedere spostarsi di città in città, con la consapevolezza di far parte della squadra dei nuovi costruttori di senso, di creatività, il suo regno si estende fin dove arriva il suo tweet o l’ultima traccia di IP.

Si muove in relazione a vincoli che consentono ampi cambiamenti e oscillazioni e che tuttavia vengono continuamente rinegoziati nel tempo, in una realtà reticolare di cluster ierarchici (non più gerarchici) che amplificano le possibilità di scelta, deformando la dimensione spaziotemporale.

 

Come affermò Marshall McLuhan “…il mondo reale non è diventato altro che un museo di immagini che si trovano altrove…”. Il cloudworker è cittadino del globo e più che alla domanda di dove sei, risponde più sensatamente alla domanda in quali luoghi hai navigato finora?

Il manager di domani sarà probabilmente l’evoluzione del cloudworker, colui cioè che avendo sviluppato una capacità di sinergia e flessibilità nel mondo volatile in cui vive, gestisce il flusso e si riprogramma strategicamente sviluppando un atteggiamento innato, istintivo del fare e dell’essere sull’onda delle possibili ricadute della fetta di mercato in cui opera.

 

Un manager potremmo chiamarlo olografico che si distingue in un fare istintivo, trasparente, capace di gestire il “dilemma” (perché è un termine ormai desueto stando nel mondo quantistico della fisica delle possibilità), che accetta di immergersi in contesti non familiari per imparare in prima persona, che osserva la natura e ne fa musa ispiratrice, che gestisce con calma situazioni di divergenze culturali, abile ha creare veloci prototipi innovativi, e ad alimentare occasioni di network tramite l’utilizzo di nuovi media e tecnologie.

di Irada Pallanca