La fuga dei cervelli dall'Italia rischia di fermarsi molto presto, più o meno all'altezza della camera da letto. Se l'ultima mossa per trovare un lavoro è inventarselo, qualcuno tra i ragazzi più intraprendenti l'ha già fatto, anche senza lasciare il Paese: si fanno chiamare wwworkers, per ora sono alcune centinaia. Sono i ragazzi che hanno deciso di lanciarsi nell'imprenditoria dopo lunghe trafile di precariato e stage e, senza passare per un'assunzione, hanno provato il brivido della partita Iva, scegliendo come luogo di lavoro il Web.

«Mi sono dato un anno di tempo per studiare il fenomeno, per definire i profili, per capire cosa sta accadendo - racconta Giampaolo Coletti, ideatore di wwworkers.it (un blog che raccoglie le storie di chi ha tentato, riuscendoci, di mettersi in proprio), agitatore culturale della Rete, ex flessibile dell'informazione -. I wwworkers sono apparsi timidamente in Italia dallo scorso anno, anche a seguito della crisi che ha vissuto il mondo del lavoro. E c'è da giurarci si imporranno con il 2010. Sono una razza in via di moltiplicazione».


Mentre i loro fratelli maggiori hanno lasciato l'Italia per cercare fortuna all'estero, i lavoratori della generazione Y hanno sfruttato i nuovi strumenti per creare un network di relazioni e per trasformare le loro passioni in mestiere.

Secondo una ricerca di Accenture che ha coinvolto oltre 5500 giovani di tutto il mondo, i ragazzi italiani sono tra i primi a livello globale per l'uso delle tecnologie emergenti nei contesti lavorativi insieme con cinesi e statunitensi, ben più avanzati di giapponesi e tedeschi. La maggior parte degli italiani sotto i 25 anni comunica con i propri clienti attraverso chat online, instant messaging, messaggistica mobile e feed Rss, a scapito dei mezzi di comunicazione più tradizionali. «Dal made in Italy siamo passati al live in Italy», sintetizza Coletti. Già, perché le caratteristiche principali dei wwworkers sono due, inconciliabili solo sulla carta: un forte radicamento sul territorio e la possibilità di scegliersi un posto di lavoro virtuale.


Fonte e articolo integrale: La Stampa