Il capitale umano, prima del film bello e profondo di Paolo Virzì, nessuno sapeva cosa fosse.Tranne gli assicuratori: è il valore finanziario della morte. Quello che lasci a chi lasci dopo che te ne sei andato, sempre che tu abbia stipulato una polizza sulla vita.

La cosa più triste è vedere che anche in questo caso, l'estremo dei casi, non siamo tutti uguali. Anche qui, le donne hanno di meno, valgono di meno.

Ogni italiano ha un cartellino col prezzo: 342mila euro. Ma il nostro peso finanziario, in quanto nate donne, si riduce della metà. C'entra la nostra prospettiva professionale, quanto riusciamo a guadagnare, quali ruoli dirigenziali riusciamo a ricoprire. Quanto le nostre carriere sono interrotte dalla maternità e dalla cura della famiglia. Senza che ci sia la vera possibilità di scegliere o di coniugare lavoro e privato.

Faccio questa premessa perché ora le condizioni per un cambiamento coraggioso ci sono e proprio con la stessa forza con cui è stata condotta la battaglia sulla rottamazione va portato a casa il risultato sulla parità di genere. Renzi ha fatto il primo governo paritario della storia di questo Paese, con ministre donne che ricoprono incarichi importanti e tipicamente maschili: penso alla Difesa o allo Sviluppo Economico.

Lo stesso non si può dire per la partita dei sottosegretari che ha visto nominate solo 9 donne contro 35 uomini e nessuna nel ruolo di viceministro. Complessivamente il governo conta 17 donne su più di 60 componenti, un po' pochino per gli standard del Pd che alle scorse elezioni ha portato in parlamento 43 senatrici (il 40,9% degli eletti) e 111 deputate (il 37,8% degli eletti).

La storia è sempre quella, nel pubblico e nel privato, qualsiasi lavoro si svolga, ad ogni età: su 100 laureandi, 60 sono donne. La forza lavoro cum laude è per lo più femminile ( il 25% di donne contro il 12% degli uomini), ma poi accade qualcosa, come una strettoia che ti lascia ferma al punto di partenza, o quasi.

Guadagniamo meno degli uomini a parità di mansioni, e mai riusciamo a raggiungere i loro livelli di carriera.

Si chiama gender gap, una parolaccia che vorremmo i nostri figli non conoscessero. Il governo in carica ci dà segnali positivi in tal senso, anche se l'aver rinunciato alle pari opportunità mi è sembrato poco lungimirante: guardiamo a quanto sta accadendo in Francia, dove esiste un ministero per i diritti delle donne che sta portando avanti una vera e propria riforma della parità di genere. E' quella la direzione giusta: ristabilire nella società ruoli e prospettive.

In particolare, desidero qui richiamare un punto di questa nuova rivoluzione francese: le società quotate in borsa sono obbligate a portare al 40% le quote rosa nei cda entro il 2017, in Italia grazie alla legge Golfo-Mosca esiste il vincolo del 30%. Ma la riforma della parità francese va oltre: tale obiettivo coinvolge tutte le aziende con più di 250 dipendenti e che hanno un volume d'affari superiore ai 50 milioni di euro, ma soprattutto le società che non rispetteranno la parità tra uomo e donna, pagando per esempio di più gli uomini a parità di lavoro svolto, non potranno partecipare alle gare per gli appalti pubblici. Sono, per così dire, fuorilegge.

Sono in scadenza le nomine delle società controllate dal ministero dell'Economia e delle Finanze: Eni, Finmeccanica, Poste, Enel, Ferrovie ed Anas, giusto per citare le più importanti. Un pacchetto di 350 posti dirigenziali nel cuore operativo del Paese con cui per la prima volta un governo di centrosinistra si trova a fare i conti. Renzi ha detto qualche giorno fa ai cronisti della Camera che nelle aziende pubbliche ci deve essere spazio per manager donne. Noi ci auguriamo che sia così, che la classe dirigente di questo Paese riesca finalmente a diventare nuova, trasparente e credibile. Che il principio di accountability, che il premier ha con tanta forza richiamato per sé, possa trasferirsi per osmosi a questi centri nevralgici di potere. E' un'occasione unica per rendere questo Paese più giusto, e forse anche meno burocratico (oltre ad essere un viatico per tagliare stipendi davvero troppo alti: possibile che un manager pubblico debba guadagnare più del presidente degli Usa?).

La vera prova della discontinuità è arrivata: l'8 marzo vale poco se non ci impegniamo per la difesa della parità di genere nella riforma elettorale e non chiediamo che nella caccia ai curriculum migliori per le spa pubbliche si ricerchi il merito anche nei profili femminili.

Ce ne sono, è ora che li valorizziamo.

Fonte: HuffPost