Non servono le leggi per le donne. Piuttosto bisogna pensare alle donne mentre si fanno leggi. Tutte le leggi. Può sembrare un paradosso, ma a volte per essere equi è necessario fare qualche differenza. Ieri la commissione lavoro della Camera ha emendato il decreto sul lavoro del ministro Giuliano Poletti nella parte che riguarda i contratti a termine. Il tutto per evitare di penalizzare le donne che restano incinte mentre sono assunte a tempo determinato.

Va ricordato che oggi i contrattisti a termine che hanno lavorato almeno sei mesi per una certa azienda hanno diritto di precedenza in caso l’impresa decida di fare assunzioni nella stessa mansione. Con la normativa passata ieri, di fatto è stata introdotta una “superprecedenza” per le dipendenti a termine che sono diventate mamme. Nel caso fortunato in cui l’azienda potesse stabilizzare qualcuno, si dovrà partire proprio dalle neomamme. Un vantaggio giustificato. Oggi le donne con contratto a termine rimandano la maternità nell’attesa di una stabilizzazione. Sanno che difficilmente il contratto sarà rinnovato a chi nel frattempo diventa mamma. Bilanciare una normativa che agevola i contratti a termine mettendo sul piatto un incentivo all’assunzione delle neomamme è più che sensato.

Bisognerà attendere, invece, per avere qualche passo avanti sul fronte del contrasto alle dimissioni in bianco. Il fenomeno non è nuovo: al momento dell’assunzione, alle donne viene chiesto di firmare le dimissioni. Il datore di lavoro le mette nel cassetto. E le tira fuori nel caso in cui la ragazza resti incinta. Una legge per evitare le dimissioni in bianco presentata da Sel era passata alla Camera. Poi è stata incardinata al Senato, commissione Lavoro. Ma ieri la normativa si è arenata nelle secche di palazzo Madama. Al testo si oppone un pezzo di maggioranza, per la precisione il Nuovo centrodestra. E così si è preferito demandare le nuove regole sulle dimissioni in bianco al disegno di legge delega sul lavoro, il cosiddetto Job act.

Una normativa per contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco era stata varata dal governo Prodi nel 2007. In sostanza si imponeva alle imprese di compilare le dimissioni su moduli contrassegnati da un codice di identificazione progressiva. Un anno dopo il governo Berlusconi ha cancellato questo obbligo. Più tardi, nel 2012, il governo Monti ha scelto una strada intermedia. Nessuna legge, ma è stato introdotto l’obbligo di convalida delle dimissioni presso specifici uffici.

Il mondo delle aziende chiede giustamente procedure semplici. Possibile che non si riesca conciliare questa semplicità con l’esigenza sacrosanta di impedire a una piccola minoranza di imprenditori senza scrupoli di penalizzare le donne e le loro famiglie?

 

Fonte: La 27ma Ora