Donne, più della metà senza reddito da lavoro. Ruoli chiave: un abisso il gap con gli uomini
Disoccupazione, precarietà, uguaglianza salariale e conciliazione: i dati Istat fotografano una situazione femminile che in Italia è ancora drammatica e indietro rispetto ad altri Paesi europei. A sud le percentuali precipitano: in Puglia hanno un impiego appena 26 su 100. Tetti di cristallo: 7 dirigenti su 10 sono maschi.
Sempre in Italia, più di 5 donne su 10 sono senza reddito da lavoro, e, per quelle che il reddito lo hanno, la retribuzione media pro capite (calcolata tra impiegate e operaie) si ferma sotto i 25mila euro annui, mentre quella di un uomo sfonda il tetto dei 31mila. Un divario che incide non solo sul quotidiano ma che si ripercuote anche - con lo sguardo proiettato verso il domani - sull'ammontare della pensione.
Freni, vincoli e discriminazioni che vanno eliminati, perché - e soltanto qualche settimana fa a ripeterlo è stato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti aRepubblicaTv - le donne "devono avere tutte le opportunità per assumere ruoli di responsabilità nella società italiana e nelle imprese".
Vero è, tuttavia, che i numeri parlano chiaro. Ancora prima di poter affrontare il nodo delle differenze retributive di genere, il problema è rappresentato dalle percentuali legate all'occupazione. Secondo gli ultimi dati Istat, a febbraio di quest'anno risultava occupato soltanto il 46,6% delle donne (46,7% a dicembre 2013), contro un 64% degli uomini, per un totale medio pari al 55,2 per cento. Un gap che dal 2004 a oggi si è via via ristretto (dieci anni fa il rapporto era 70% uomini contro 45% donne) soprattutto perché sono stati i maschi a perdere sostanzialmente l'impiego. Sull'altro versante, più che aumentare l'ingresso delle donne nei luoghi di lavoro, si è allungata la permanenza di quelle che un'occupazione l'avevano già in virtù dell'estensione dell'età pensionabile.Un tasso di occupazione, quello femminile, che è comunque il risultato di una situazione geograficamente variegata. Le cifre del 2013 regalano un'immagine del Paese che fa tremare le vene ai polsi: se si guarda alle regioni del nord, risulta occupato il 56,5% delle donne. Al centro, lavora il 53,2% contro il 68% degli uomini. Al sud il divario di genere si trasforma in un abisso: ha un impiego solo il 30% delle donne a fronte di un 53,4% di maschi impiegati.
D'altronde, se si analizza il tasso di disoccupazione aggiornato a fine 2013, tali differenze emergono in maniera prepotente. Nella top ten delle regioni che fanno registrare le percentuali più drammatiche, ci sono Puglia (è disoccupato il 26,5% delle donne contro il 18,8% degli uomini), Campania (il 23,7% contro il 19,7%), Calabria (il 24,3% contro il 13,8%), Sicilia (il 23,7% contro il 16,5%), Sardegna (il 18,1% contro il 13,6%), Molise (il 18% contro un pari 18%), Basilicata (dove la situazione è ribaltata pur se di poco: il 15,9% contro il 16,9%), Marche (il 14,5% contro il 10,6%), Abruzzo (il 13,4% contro il 10,6 per cento), e Umbria (il 13,06% contro l'8,8%). Interessante, inoltre, il raffronto per tipologia di impiego. Nel 2013 i dipendenti a tempo pieno sono per il 62,8% uomini e per il 31,11% donne. La disparità si accentua ulteriormente se si guardano gli autonomi a tempo pieno: il 74,9% è maschio, il 25,08% è femmina. La situazione si ribalta, però, se si analizza il dato sul part-time dei dipendenti: il 19,2% è rappresentato dagli uomini contro un 80,7% costituito dalle donne. Sempre il part-time, ma sul versante autonomi, regala una foto capace di riavvicinare gli estremi: il 42,7% è maschio, il 57,2% è femmina. Anche sugli atipici le percentuali marciano quasi assieme: uomini il 50,6%, donne il 49,3 per cento.
I numeri sulla precarietà restituiscono un'immagine niente affatto serena tanto per gli uni quanto per le altre: hanno contratti a tempo determinato il 51,4% degli uomini e il 48,5% delle donne. E sono collaboratori il 46% dei primi e il 53,9% delle seconde.
Ma è sui profili professionali che permangono i dislivelli più ampi, nonostante il regolamento sulle quote di genere nei cda delle società pubbliche abbia contribuito, già da due anni, ad accorciare lo scarto. E se, per la prima volta nella storia dell'Italia, i ministri che siedono al governo sono per metà uomini e per metà donne, in parlamento le donne sono 3 su 10. Fuori dalla politica, due esempi su tutti: i dirigenti e il lavoro a domicilio. Nel primo caso, gli uomini rappresentano il 70,6% contro il 29,3% delle donne. Nel secondo caso il rapporto è invertito visto che le donne sono l'86,7% e gli uomini appena il 13,2 per cento. E ancora: per quel che riguarda l'imprenditoria, la percentuale 'in rosa' si ferma al 22,3% contro un 77,6% prettamente maschile.
A guardarlo ancora più nel dettaglio, il pianeta donna che lavora è così 'spalmato': è impiegato il 57,5% (il 42,4% sono uomini), è quadro il 41,6% (il 58,3% sono uomini), è operaio il 35,5% (il 64,4% sono uomini) ed è apprendista il 44,2% (il 55,7% sono uomini). Non basta: è libero professionista il 31,8% (il 68,1% sono uomini), è libero professionista senza dipendenti il 32,9% (il 67,01% sono uomini), ed è libero professionista con dipendenti - qui la cifra si abbassa ulteriormente - il 26,08% (il 73,9% sono uomini). A mettersi in proprio, inoltre, è appena il 25% delle donne, contro un 74,8% di uomini, mentre coadiuvante familiare è il 58,7% delle donne a fronte di un 41% di uomini.