Urania, Musa dell’astronomia, come tutte le Muse – nove sorelle figlie di Zeus e Mnemosine – era una figura femminile giovane e bellissima. Qui accanto la vediamo, procace e persino discinta, nel monumento, opera di Annibale Galateri, che la città di Savigliano ha eretto al suo illustre figlio Giovanni Schiaparelli, astronomo e poi direttore dell’Osservatorio di Brera. Benché tutelata da Urania, l’astronomia non ha poi concesso grandi spazi al genere femminile. Fino alla seconda metà del Novecento le donne dedite allo studio del cielo sono state poche, e quelle poche sono rimaste in posizioni marginali o subalterne. Ad esse Gabriella Bernardi ha ora dedicato “Il cielo dimenticato in un baule” (Edizioni La Ricotta, 40 pagine, 8 euro), un libro sottile ma meritevole di attenzione perché, oltre a fornire notizie su una trentina di donne astronomo, è concepito in forma di racconto rivolto a ragazzi e ragazze in età da scuole medie. 

Troviamo Ipazia, astronoma, matematica e, per la sua prematura emancipazione, martire pagana uccisa da fondamentalisti cattolici (370-415 d.C). Troviamo, con opposto destino, Ildegarda di Bingen, nata in Sassonia nel 1098, cosmologa longeva – morì a 81 anni – dichiarata santa nel 2012 da Benedetto XVI. Troviamo Sophie, sorella e assistente di Tycho Brahe, il più grande osservatore dell’era pre-telescopica, ed Elisabetha Koopman, divenuta a 16 anni la seconda moglie dell’ormai vecchio birraio astronomo Johannes Hevelius. 

Qui però vorrei segnalare la meno nota Maria Margarethe Winkelmann, la prima donna che abbia scoperto una cometa. La avvistò nel 1702 ma il ritrovamento, dapprima attribuito al marito, l’astronomo Gottfried Kirch, le fu riconosciuto solo più tardi. Nata nei dintorni di Lipsia nel 1670, era stata allieva di Cristoph Arnold, detto “l’astronomo contadino”. Quando Kirch fu nominato astronomo di corte, questi fece dell’astronomia un’azienda familiare: la moglie Maria fu affiancata a due sorelle dell’astronomo nella redazione di calendari ed effemeridi. Pietro il Grande offrì poi a Maria un posto di astronomo in Russia ma lei, sposa sottomessa, rinunciò alla carriera. Quando a cinquant’anni morì, la figlia Christine e il figlio Christfried, già assistenti della madre, continuarono la tradizione e a loro volta vissero di calendari. Qualcuno ha calcolato che alla fine del Settecento il 14 per cento degli astronomi tedeschi erano di genere femminile. Della schiera faceva parte anche Carolina, sorella del grande Wilhelm Herschel, scopritrice in proprio di otto comete. 

Per la Francia bisogna almeno citare Gabrielle du Chatelet, intima amica di Voltaire e di altri intellettuali. Tradusse in francese i “Principia” di Newton introducendo nel suo paese la teoria della gravitazione universale. Rimasta incinta all’età di 42 anni, morì pochi giorni dopo il parto. Per farle un complimento Voltaire la ricordò come “un grande uomo”. 

Tra le italiane hanno una modesta nicchia le sorelle bolognesi Teresa e Maddalena Manfredi: brave a calcolare effemeridi del Sole, della Luna e dei pianeti, rinunciarono a sposarsi. Una citazione e anche qualcosa di più merita la dimenticatissima Caterina Scarpellini, che nel 1854 divenne la prima italiana (e forse l’ultima) che abbia scoperto una cometa. Nata a Foligno nel 1808, l’aveva iniziata all’astronomia lo zio Feliciano Scarpellini, direttore a Roma della Specola del Campidoglio, dove fece installare una stazione meteorologica. 

Nemesi storica, oggi l’astronomo più popolare in Italia è una donna: Margherita Hack. Nonostante l’età non proprio giovanile, il suo impegno nella società e nella divulgazione ha del prodigioso. A un paio di mesi dalla pubblicazione di “Nove vite come i gatti” (Rizzoli), “Stelle da paura” (Sperling & Kupfer) e “Sotto una cupola stellata” (Einaudi), ecco arrivare nelle vetrine “Il lungo racconto dell’origine”, scritto con Walter Ferreri e Guido Cossard (Dalai Editore, 315 pagine).  

Se si tiene presente che il periodo abbracciato comprende quasi diecimila anni e tutte le civiltà del pianeta, le pagine sono distribuite con equilibrio: 150 su miti e nozioni astronomiche di Sumeri, Egizi, Greci, Cinesi, Maya e Atzechi , una cinquantina sulla transizione dall’astronomia tolemaica adottata dalla Chiesa cristiana all’astronomia moderna, 100 pagine sulla cosmologia più recente, aggiornata fino alla scoperta della materia oscura, dell’accelerazione dell’universo, dei pianeti di altre stelle.   

Le ultime pagine guardano alla prossima generazione di strumenti per esplorare l’universo nell’intera gamma delle radiazioni elettromagnetiche, dallo spazio e dal suolo – incluso il supertelescopio E-ELT da 39 metri che l’ESO realizzerà in Cile – e al tentativo di captare segnali intelligenti dallo spazio (SETI). La ricerca di un dialogo con eventuali creature di altri mondi rappresenta anche l’ultimo passo verso il superamento di una visione antropocentrica che entrò in crisi con Copernico: “Stiamo muovendo i primi passi nel campo dell’intelligenza artificiale, e sappiamo che possono esserci forme di interazione intelligente con l’ambiente anche senza avere un cervello o un sistema nervoso come il nostro. In realtà però la nostra comprensione piena del funzionamento del cervello, e quindi dell’emergere dell’intelligenza e della coscienza, è ancora agli albori, come lo erano nello studio del cosmo le antiche civiltà di millenni or sono. In effetti, quello alla scoperta dell’universo della mente, è un altro lungo racconto dell’origine che ci attende nei prossimi secoli.”.

Fonte: La Stampa