Donne manager, ecco i numeri del gapUna ricerca McKinsey svela dove (e perché) si ferma la scalata delle dirigenti

 

Più donne al top: utopia o traguardo raggiungibile? La domanda appare più che lecita. L'ultima ricerca realizzata da McKinsey & Company, presentata al convegno "Generare Valore senza esclusione di genere", organizzato da Valore D a Roma giovedì 16 febbraio, che coinvolge circa 250 grandi aziende in Europa, dimostra che nonostante un'attenzione crescente al tema del talento femminile negli ultimi cinque anni la presenza di donne nelle posizioni "che contano" non ha fatto passi avanti.

Nell'Europa Continentale (escludendo quindi i virtuosi paesi nordici), tra i primi riporti al CEO (ovvero, tra i dirigenti che stanno un gradino sotto i Direttori generali e/o Amministratori delegati) la rappresentanza femminile rimane inchiodata a un desolante 10 per cento, che raddoppia a circa il 20 per cento nelle "seconde linee" e tocca il 25 per cento tra le "terze linee". L'Italia non si discosta da queste dinamiche. È evidente che parte del problema sta nella cultura del Paese di riferimento (che si riflette anche nei comportamenti aziendali), nello scarso sostegno ai carichi familiari offerto da governi e amministrazioni e anche, non nascondiamocelo, nelle donne stesse.

Sono ancora troppo poche quelle che, fra noi, osano proporsi per posizioni cui possono legittimamente aspirare, avendone le capacità, che negoziano responsabilità e retribuzione, che comunicano attivamente all'interno della propria azienda, quanto fanno e i risultati che ottengono. Ci aspettiamo che tutti lo notino e automaticamente ce lo riconoscano. Non funziona così, dobbiamo fare la nostra parte. L'altra parte del problema, o meglio, della soluzione, sta nelle aziende. Come spesso accade, le imprese si muovono prima, perché non si pongono un problema "etico", bensì "economico" e di "convenienza". Se è vero che team di management misti fanno bene all'organizzazione e un'organizzazione che ha buone performance ha anche risultati economici migliori, questo alle aziende conviene. Se è vero che il 56 per cento dei laureati sono donne, che concludono gli studi più in fretta e con voti migliori dei colleghi uomini, riuscire ad attrarre e valorizzare queste intelligenze è interesse dell'impresa. Non a caso, non sono poche le aziende che si sono mosse in questo senso.

McKinsey ha selezionato 41 iniziative in varie aree (impegno del top management a favore delle politiche di gender diversity; programmi di formazione e sviluppo del talento femminile; monitoraggio di indicatori di genere, processi e politiche delle risorse umane; e infrastrutture a supporto del bilanciamento tra vita lavorativa e privata – e ne ha analizzato il livello di applicazione all'interno delle organizzazioni. La buona notizia è che il 95 per cento delle 250 aziende esaminate ha attivato almeno dieci iniziative e ben il 38 per cento agisce su tutte le aree analizzate. Quindi, c'è una certa sensibilità sul tema. La cattiva notizia è che la sensibilità non basta. Solo un quarto delle aziende intervistate in Italia ritengono che il proprio CEO sia davvero impegnato e si esponga su temi di gender diversity, percentuale che scende al 18 per cento nelle "prime linee" e all'11 per cento nelle seconde. Rimane, inoltre, un gap rilevante tra obiettivi annunciati e cultura aziendale: quasi la metà delle aziende italiane ritiene che agli annunci non seguano azioni e comportamenti organizzativi coerenti. A completare il quadro, il 60 per cento delle iniziative di formazione e sviluppo al femminile sono sconosciute alle aziende italiane, il 53 per cento degli indicatori di gender diversity (assunzioni, promozioni, soddisfazione sul lavoro, presenza per livelli gerarchici, gap salariale, etc.) non sono monitorati all'interno dell'azienda, la metà dei processi e politiche di risorse umane che assicurerebbero decisioni libere da pregiudizi di genere impliciti non trovano applicazione in Italia, due terzi delle possibili infrastrutture di supporto non rientrano nell'offerta aziendale ai propri dipendenti. Un messaggio positivo, però, c'è e viene da cinque delle trenta grandi aziende italiane analizzate: fanno molto, in termini di iniziative, e ottengono risultati ragguardevoli, con una rappresentanza femminile nelle posizioni di maggiore responsabilità – dal primo al terzo riporto al CEO – superiore al 30 per cento. Due fanno ricorso, tra le varie iniziative, anche alle "quote" interne, ma tutte distribuiscono l'impegno su un'ampia gamma di interventi. Quattro di queste aziende sono filiali o sedi di aziende multinazionali in Italia - a conferma che da noi anche il vento dell'innovazione sociale è d'importazione – ma una è italianissima. Tutte queste aziende virtuose sono membri di Valore D, l'associazione che promuove il talento e lo sviluppo femminile e mette le organizzazioni al centro dell'agenda del cambiamento. Un caso? Probabilmente no; sono aziende che mettono a disposizione e condividono le loro buone pratiche e rappresentano un esempio di gestione e governo d'impresa all'insegna della convenienza economica, che passa, guarda caso, anche attraverso un giusto equilibrio di genere.

 

Finanza
In Italia, nel comparto finanziario composto da banche e assicurazioni, lavorano 652.000 persone: 365.000 uomini (56 per cento) e 287.000 donne (44 per cento). Nella sfera dei dirigenti, le percentuali sono a netto vantaggio degli uomini: 23.000 maschi (l'85 per cento) contro 4.000 donne (un esiguo 15 per cento).

Industria
Nel settore dell'industria e dei beni di consumo, in Italia, lavorano 4.586.000 persone. Tra queste, 3.380.000 sono uomini e 1.206.000 donne. Il 90% dei dirigenti sono uomini, una maggioranza schiacciante, e solo il 10 per cento sono le poltrone più alte riservate alle donne. Anche nel mondo dell'impresa industriale, il confronto di genere premia gli uomini: sono 55.000 gli imprenditori (l'81 per cento) contro 13.000 imprenditrici (19). (Dati Istat riferiti al terzo trimestre 2010).

Servizi alle imprese e professioni
Nel settore dei servizi alle imprese, in Italia, sono occupati 1.396.000 uomini e 1.201.000 donne. Gli uomini sono il 54 per cento, le donne il 46 per cento. Molto più alta è la percentuale dei dirigenti: gli uomini al vertice in questo settore sono 23.000 mentre le donne soltanto 9.000. Praticamente il 72 per cento contro il 28 per cento. Infine, anche tra gli imprenditori nel settore dei servizi il numero degli uomini è ancora nettamente più alto rispetto a quello delle donne: gli uomini sono 15.000 mentre le donne solo 2.000. Dunque, l'88 per cento contro il 12 per cento (dati Istat, terzo trimestre 2010).

Fonte: LeiWeb