Il primato è ancora lontano.
Vertice La base si allarga ma è ancora troppo faticoso raggiungere posizioni dirigenziali.

Il «sorpasso» è venuto l’ anno scorso con i Giochi del Mediterraneo: 34 ori femminili contro 30 maschili. E chissà che questa prima volta assoluta dello sport italiano non sia di buon auspicio per il Paese nel suo complesso. Come tutte le indagini dimostrano, l’ Italia è ancora assai lontana dagli Stati Uniti: meno di una donna su due con un posto di lavoro, spesso lasciato dopo il primo figlio; solo il 6% di partecipazione ai consigli di amministrazione di società quotate; e se in famiglia a guadagnare di più è lei, quasi sempre si tratta di una famiglia povera. Ma, per la prima volta, è una contesa tutta femminile quella che oppone Emma Bonino a Renata Polverini per la carica di governatore del Lazio. 

E negli ultimi due anni si nota una crescita del numero di donne arrivate a ruoli di responsabilità, come nelle forze di polizia (Paola Basilone, vice capo della Polizia, e Daniela Gobbi, presidente del Consiglio di presidenza della Polizia tributaria), nelle istituzioni economiche e finanziarie (Anna Maria Tarantola nel direttorio di Banca d’ Italia, Emma Marcegaglia alla guida di Confindustria), università (Cristiana Compagno rettore a Udine e Lidia Viganoni a Napoli), magistratura (Maria Gabriella Luccioli presidente di sezione in Cassazione) e anche nella Chiesa (Flaminia Giovanelli, vice ministro della Giustizia del Vaticano). Sorpassi sono avvenuti ormai da tempo negli studi. Le donne si laureano più degli uomini e con voti migliori. Lo scorso anno accademico, per iscrizioni le studentesse hanno superato gli studenti maschi in 9 macro-aree su 16, con punte del 91 per cento nel gruppo dell’ insegnamento, di oltre l’ 80 in quello linguistico e psicologico, oltre il 60 nel chimico-farmaceutico, nel medico, nel geo-biologico, nel giuridico, letterario, politico sociale… Quasi pareggiano nell’ economico-statistico, nell’ agrario (comprende veterinaria) e in architettura. «La svolta si è avuta con il cambiamento delle normative che hanno consentito l’ accesso alle donne a professioni fino a quel momento riservate agli uomini – dice Andrea Cammelli, direttore di Alma Laurea -. Così una facoltà che negli anni Sessanta era completamente maschile si è ribaltata». Gli studi, però, non si traducono automaticamente in lavoro e stipendi adeguati. A un anno dalla laurea hanno un posto 52 donne su 100 contro 60 maschi, otto punti di distacco che diventano 7 cinque anni dopo. Quanto agli stipendi, sono più bassi del 17 per cento. Una media, va detto, inferiore a quella europea grazie al pubblico impiego, dove le donne sono la maggioranza: «Se si escludono la grande dirigenza e le posizioni apicali, nel pubblico impiego si va avanti per anzianità e questo frena le differenze di reddito», sottolinea Maurizio Ferrera, docente all’ università di Milano e autore di Fattore D. È donna il 77 per cento del personale nell’ istruzione e il 62 per cento nella sanità. Si avvicinano alla parità nella magistratura. Superano il terzo tra gli avvocati. Ma il vero problema dell’ Italia è diventare «un capo». «Quando si arriva al vertice, le donne spariscono», dice Paola Profeta, docente alla Bocconi e autrice con Alessandra Casarico di studi sulla diversità di genere. Nell’ istruzione le donne occupano quasi il 100 per cento dei posti nelle scuole dell’ infanzia, meno del 60 per cento nelle superiori e all’ università i professori ordinari donna sono 17 ogni 100. A fronte di un 40 per cento di donne magistrato solo in 10 sono presidenti di tribunale. «L’ Italia è un Paese ingessato, dove il valore non viene garantito», dice Gianna Martinengo, imprenditrice. Quella che, però, nel corso degli anni è cambiata è la percezione che le donne hanno del lavoro, «sempre più un aspetto importante dell’ identità femminile», dice Linda Laura Sabbadini, direttore centrale dell’ Istat. A differenza del passato, oggi iniziano a lavorare più adulte e «con l’ intenzione di non abbandonare il lavoro prima di aver maturato la pensione».

Di Maria Silvia Sacchi – Corriere.it (29/1/2010)