Valgo quindi sono
E' da dieci giorni nelle librerie un libro il cui titolo attira immediatamente l'attenzione: "Valorizzare le donne conviene". Il saggio di Daniela Del Boca, Letizia Mencarini e Silvia Pasqua è edito da "il Mulino", costa 12,50 euro ed è un bel regalo che ogni donna può fare a se stessa per l'otto marzo, perché ci spiega che "verrà proprio dal lavoro femminile l'impulso più importante alla crescita nel prossimo futuro. Nei paesi europei dove gli squilibri di genere nei tassi di occupazione e nei salari sono minori, la crescita economica è maggiore e la fecondità in aumento".
Ma è una provocazione? Considerata la crescita dei tassi di istruzione delle donne, favorire la partecipazione al mercato del lavoro femminile dovrebbe essere ovvio, senza considerare che la ragione stessa dovrebbe indurre a pensare che è un atto dovuto ai principi di pari opportunità e di eguaglianza tra i generi. Ma non è così , ancora proprio non ci siamo. Allora forse si può dare una scossa alla nostra realtà sociale che non ama le donne "buttandola sul profitto". Il caro vecchio Marx sarebbe sicuramente d'accordo. Nella società del capitalismo avanzato e per di più in una drammatica situazione di crisi economica da superare, il lavoro femminile ha un grande valore economico, se non altro per questo valorizziamolo, il futuro è lì.
"Se le donne raggiungessero i tassi di occupazione degli uomini gli aumenti del prodotto interno lordo arriverebbero fino al 13% nell'Eurozona - leggiamo nelle pagine del libro -…e ben al 22 % in Italia…Se il part-time femminile diminuisse ai livelli di quello maschile e se i salari maschili e femminili diventassero uguali, l'aumento medio di prodotto interno lordo sarebbe addirittura del 30% a livello medio europeo e in Italia del 32%". E c'è di più. Dai risultati di molte ricerche emerge che le imprese che investono di più nelle donne, con un atteggiamento non discriminatorio, sono quelle che hanno più successo. Il lavoro delle donne fa crescere l'economia. Se le politiche per l'occupazione femminile fossero accompagnate da politiche di conciliazione che le agevolassero nel doppio ruolo di lavoratrici e madri, "le donne contribuirebbero alla sostenibilità del sistema pensionistico, il loro lavoro farebbe crescere il reddito delle famiglie, produrrebbe nuovi posti di lavoro e il conseguente incremento dei consumi. Un vero e proprio circolo virtuoso…". Spiegano le autrici :"Le donne italiane vivono in un contesto di elevato sviluppo…Hanno elevati standard di vita…La loro salute e la durata della loro vita sono migliori di quelle degli uomini. Ma soprattutto hanno ormai le stesse capacità degli uomini. Cioè lo stesso livello di istruzione e di capitale umano. Tuttavia non riescono a utilizzare a pieno queste potenzialità e sperimentano una scarsissima partecipazione alla vita politica ed economica del paese e, quando vi partecipano, lo fanno con un'accentuata segregazione di funzioni e posizioni".
E ancora. "Come possono oggi le imprese operare in un mondo sempre più multiculturale ed eterogeneo senza modificare la natura e struttura dei propri gruppi di vertice?" si chiedono le autrici." "Come si può cambiare tutto questo se la nostra classe politica è tra le più vecchie e mascolinizzate di tutta Europa"
Insomma che fare?
E' necessario recuperare e valorizzare adeguatamente i talenti sprecati delle donne, fare in modo che non siano discriminate già ai blocchi di partenza. Operare una rivoluzione culturale nelle nostre teste e soprattutto in quelle delle nostre figlie che non le spingano per lo più a scegliere facoltà umanistiche. Perché così tante iscritte alla facoltà di Scienze della formazione, e così poche in ingegneria? In tutti i paesi europei la maggior parte dei laureati è costituito da donne, ma a scegliere una facoltà scientifica è solo una donna su dieci, a fronte di un uomo su quattro. Basta con l'auto-segregazione, la mortificazione, lo stare in disparte, lo scegliere prevalentemente professioni inerenti alla cura delle persone (maestre, insegnanti, infermiere) senza pensare alle possibilità di carriera e ai maggiori guadagni. Da alcune ricerche emerge addirittura che ancora molte donne, anche giovani, pensano che sia più giusto che a parità di condizione trovi lavoro prima l'uomo che la donna. Un'auto castrazione interiorizzata da secoli, anzi da millenni che è difficile da sconfiggere e affonda le radici nei tempi dei tempi.
Poi ci sono le discriminazioni sociali ed economiche. Analizzando la situazione lavorativa della generazione dei laureati del 2005, a cinque anni dalla laurea la distanza tra uomini e donne nel lavoro supera i nove punti percentuali. I maschi lavorano di più e guadagnano di più: il loro salari medi sono di circa 1.500 euro contro i 1.100 delle colleghe. Ancora più grave la situazione delle donne con bassi livelli di istruzione che, a causa dei salari troppo bassi, non si possono permettere di pagare una baby sitter o il nido privato, considerato l'esiguo numero di posti disponibili in quelli pubblici. E questa è la categoria femminile più fortemente penalizzata. Se poi per l'uomo la nascita di un figlio coincide con un aumento delle ore di lavoro, per la donna la maternità significa spesso l'uscita dal mercato del lavoro, un' uscita che troppo spesso diventa definitiva. E lo scandalo delle dimissioni in bianco? A sperimentare le interruzioni forzate del rapporto di lavoro sono soprattutto le generazioni più recenti e le donne residenti nel Mezzogiorno. La situazione è sconfortante ed è necessario trovare la forza e il coraggio di ribaltarla.
Bisogna, secondo le autrici, lanciare una sorta di "pink new deal", un po' come il "new deal" roosveltiano che permise all'America di tornare a essere la guida del mondo, dopo la grande depressione economica. E' un obiettivo ambizioso ma ineludibile , tanto più in un momento di recessione come quello attuale in cui si è registrato persino un ulteriore calo del 2% di donne occupate.
Ed ecco alcuni punti, una sorta di decalogo possibile per valorizzare le donne:
-Indirizzare le donne verso studi scientifici;
- Concedere incentivi fiscali per le assunzioni;
- Trasformare part time e flessibilità;
- Studiare politiche di conciliazione aziendale;
-Investire nei servizi per l'infanzia;
-Introdurre il credito d'imposta per le retribuzioni più basse;
-Spiegare che la maternità è un costo irrisorio;
-Incentivare le imprese in rosa
-Prevedere quote di genere a tutti i livelli;
- Rendere obbligatorio i congedo di paternità.
Tutto così semplice dunque e anche un po' ovvio? E' stato scoperto l'uovo di Colombo? Bene e allora perché non cominciare proprio da qui?
Daniela Del Boca insegna Economia del lavoro nella Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Torino: con "il Mulino" ha pubblicato "Famiglie sole" (insieme a A.Rosina, 2009).
Letizia Mencarini insegna Demografia nella Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Torino.
Silvia Pasqua è ricercatrice nella facoltà di Economia dell'Università di Torino.
Le autrici sono affiliate al Collegio Carlo Alberto e a Child, Centre for Household, Income, Labour and Demographic economics, diretto da Daniela Del Boca.
Fonte: Rai Televideo