Telelavoratrice felice. Questa è la migliore definizione per quanto riguarda la mia vita lavorativa. Ma non è sempre stato così. Dipendente pubblica dal 2005, ho scelto di essere anche mamma. Al rientro in ufficio, dopo la mia terza gravidanza, la gestione del tempo è diventata un problema. Ho chiesto di entrare prima al mattino, per poter attraversare la città quando ancora tutta la mia famiglia dormiva e raggiungere in 50 minuti il mio ufficio. Con acrobazie sulla pausa pranzo, potevo ributtarmi fuori nel traffico in tempo per iniziare la raccolta dei bambini, rigorosamente in tre edifici scolastici differenti e non vicini. Così riuscivo a ridistribuirli a danza, in piscina ecc… Tutto questo poteva funzionare se nessuno si ammalava o se non rimanevo bloccata nel traffico del centro.

Ho saputo dai giornali che nel mio ente, il Comune di Torino, si sarebbe sperimentato il telelavoro. Sono poi trascorsi mesi prima che il progetto potesse essere avviato e che io avessi conferma di essere dentro alla sperimentazione. Ero felice di poter cambiare qualcosa in una situazione in cui mi sentivo prigioniera. Infatti da un lato non volevo rinunciare al mio lavoro, raggiunto con fatica e anni di studio e dall’altro mi sentivo inadeguata in famiglia per la mia scarsa presenza e la stanchezza cronica.Il giorno che andai a ritirare il mio PC portatile ero contenta, ma anche preoccupata. Dovevo dimostrare a tutti di potercela fare. Davvero il mio lavoro si poteva svolgere da casa 4 giorni su 5?

Dopo la prima settimana di spaesamento mi sono presto resa conto di quanto lavoravo meglio. Dormivo di più e appena usciti i bambini di casa potevo dedicarmi alle mie pratiche, con silenzio e grande concentrazione, senza nessuno che mi interrompesse. I compiti assegnati venivano portati a termine meglio, con maggiore soddisfazione e in minore tempo. Non era soltanto una questione di risparmio di tempo per gli spostamenti, ma anche un migliore utilizzo delle ore a disposizione. La sorpresa più grande però è stata l’immensa energia recuperata. Una nuova voglia di fare che riguardava la famiglia, il lavoro, la mia vita personale e sociale. L’ostacolo maggiore, dentro e fuori l’ambiente lavorativo? La mentalità del lavoro inteso come “timbrare il cartellino”: chi sta in ufficio lavora, chi sta a casa si riposa.

La solitudine invece non l’ho avvertita mai. Sarà anche grazie alla vicinanza delle mie colleghe telelavoratrici con le quali sono sempre rimasta in contatto. Insieme ci siamo scambiate consigli e impressioni sui problemi che avevamo incontrato. Ognuna di noi ha dei motivi speciali per aver ottenuto il telelavoro, ma siamo tutte convinte che non debba rimanere un nostro privilegio. Se noi abbiamo scoperto che con poco (un telefono, una linea internet) si può vivere tanto meglio, perché altri non possono farlo?

Ho avuto la fortuna di incontrare persone di altri Paesi che mi hanno raccontato come sia normale vivere in Europa e lavorare negli Stati Uniti o decidere a seconda delle proprie esigenze di lavorare uno o più giorni da casa, come diritto. Dunque, ora che la tecnologia esiste e che tantissimi lavori possono essere svolti con un PC o un tablet, cosa aspettiamo a cambiare anche le idee?

Fonte: La27ma ora