Non è vero che fermandosi alle canoniche otto ore si è meno produttivi di chi ne lavora dodici. Né che stando a casa, o perfino in palestra, si è meno efficienti di uno stakanovista dell’ufficio. Slegare l’impiego da luoghi e tempi fissi: l’obiettivo dello smart work, all’italiana lavoro agile, è aiutare le aziende a risparmiare e i dipendenti a conciliare meglio vita privata e professionale. In Italia se ne fa ancora poco. Secondo il Politecnico di Milano solo il 6,1% dei dipendenti lavora a distanza per almeno un quarto del tempo, contro il 14% della Danimarca. E solo il 31% può gestire in maniera flessibile i propri orari, rispetto al 52% tedesco.

La proposta di legge presentata la scorsa settimana da Alessia Mosca (Pd), Barbara Saltamartini (Ncd) e Irene Tinagli (Sc) vuole snellire alcune delle rigidità che hanno ostacolato la diffusione dello smart work.

Prima di tutto, nel testo non si parla del «telelavoratore» come figura speciale, in modo da coinvolgere tutti i dipendenti in modo orizzontale. Lo strumento viene poi adattato alle nuove tecnologie come smartphone e tablet, anche sgravando le aziende dall’obbligo di certificazione dell’ambiente di lavoro. Intanto sono circa quaranta le imprese che hanno aderito alla Giornata del lavoro agile promossa per il 6 febbraio dal Comune di Milano, con l’appoggio di Assolombarda, Aidp e di tutti i sindacati. Alcuni dipendenti di Ibm e Coca Cola, di Coop e Bpm, ma anche 14mila colletti bianchi del Municipio sperimenteranno per ventiquattro ore l’attività da casa. Conviene, stima il Politecnico: la produttività aumenterebbe del 5,5%, per un risparmio potenziale di 37 miliardi di euro. 

Fonte: Repubblica