Un po’ alla volta e con incedere più incerto rispetto ad altri paesi anche l’Italia prova a stare al passo con i tempi in ambito lavorativo; è stata recentemente presentata una proposta di legge che regolamenta il cosiddetto Smart Working, una nuova visione di lavoro che tiene conto delle gravi contingenze attuali (la crisi economica d’altra parte non è un’invenzione ed il lavoro scarseggia sempre più) oltre che degli innegabili passi in avanti che la tecnologia continua a fare. 
Unendo questi due fattori si arriva a teorizzare una visione del lavoro diversa, nuova ed in grado di offrire maggiori opportunità; lo smart work è un concetto di lavoro flessibile, che si basa sul supporto delle tecnologie informatiche per aprire nuovi spazi. Il lavoro viene quindi slegato dal concetto di spazi e tempi prestabiliti a tavolino; l’ufficio può tranquillamente essere la propria abitazione così come i tempi possono essere decisi in piena autonomia e flessibilità.   

In sintesi lo smart work è una forma di lavoro autonomo coadiuvato dall’utilizzo delle nuove tecnologie; una forma alternativa, soprattutto dal punto di vista contrattuale, a quel telelavoro che, in Italia, è stato introdotto nel 2004 ma che, dati alla mano, non ha mai preso piede ed anzi risulta essere assai indietro rispetto alla concorrenza europea complice il solito vizio italico di essere restii ad ogni cambiamento. Oltre che di possedere una legislazione scadente che non è stata in grado di fornire strumenti di attuazione e diffusione del telelavoro, ma anche questa è cosa nota. 
Tornando alla proposta di legge relativa allo Smart Working, non è un caso che in questa si parli di  “Norme finalizzate alla promozione di forme flessibili e semplificate di telelavoro” partendo quindi proprio da quest’ultimo e ponendosi l’obiettivo di regolamentare lo smart work all’interno dei contratti collettivi di lavoro di qualsiasi livello (CCNL).

Sempre nella proposta di legge lo Smart Working viene infatti definito come una “prestazione di lavoro subordinato che si svolge con particolari caratteristiche“; che sono prestazioni fuori azienda fino al 50% dell’orario annuale, salvo diverso accordo; eventuale uso di strumenti informatici e/o telematici per l’attività; niente obbligo di postazione fissa nei periodi di lavoro fuori azienda.
Lo smart work deve inoltre essere equiparato da un punto di vista economico agli altri lavori subordinati; indipendentemente dal tipo di lavoro ed occupazione il trattamento economico non deve essere inferiore a quello degli altri lavoratori subordinati a parità di mansioni. Gli strumenti tecnologici indispensabili al lavoratore nello Smart Working devono, di norma, essere forniti dal datore di lavoro; tuttavia è possibile accordarsi diversamente ed utilizzare gli strumenti di proprietà del lavoratore. 
Il rapporto lavorativo è naturalmente regolato da un contratto tra il lavoratore ed il datore di lavoro; tale accordo può essere a tempo indeterminato o a termine (in quest’ultimo caso, al massimo per due anni).
Un approccio al lavoro più dinamico, quello dello Smart Working, sfruttando le molteplici possibilità offerte dalle nuove tecnologie e che porterebbe anche vantaggi economici: secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano l’introduzione dello smart work in Italia comporterebbe 27 miliardi di ricavi in più e 10 miliardi di costi in meno andando a sommare i benefici derivati dal risparmio per spostamenti e trasferte grazie a web/video conference, ed un aumento della produttività che viene indicato in un +5,5%.  
Altri potenziali vantaggi di un simile approccio al lavoro sono quelli relativi all’occupazione femminile: che spesso viene penalizzata da fattori quali la maternità o il dover badare ai figli. Con lo smart work si potrebbe circoscrivere la problematica consentendo alle donne di lavorare da casa grazie al supporto di telefono, pc, tablet ecc… mantenendo gli stessi diritti di un lavoratore subordinato classico.  

Un modo innovativo di guardare al lavoro, per certi versi rivoluzionario; nei paesi scandinavi lo Smart Working è una realtà consolidata da tempo. Anche nei Paesi Bassi, soprattutto in Olanda dove sono nati gli smart work centers, luoghi di aggregazione per chi è uno smart worker. 

Naturalmente, come detto in precedenza, l’Italia ha un background culturale di tutt’altro tipo rispetto ai paesi nordici, e forse anche rispetto alla maggior parte dei paesi europei. Non è facile immaginare che un tale cambiamento possa avvenire dall’oggi al domani, anche perché andrebbe ad inserirsi in un contesto decisamente diverso rispetto ai paesi del nord Europa, fatto di burocrazia infinita, servizi scadenti, leggi deficitarie e quant’altro caratterizza, in senso negativo, il nostro amato paese. 

 

Fonte: La Vera Cronaca