Quanto ti piace il tuo lavoro? O meglio, perchè non ti piace e cosa ti convincerebbe a cambiarlo ... Per il post del venerdì ritorna l'infografica che in pochi, sintetici dati confezionati con immagini e grafica accattivante racconta  tanto quanto una paginata pensosa di giornale o un ilare test di portale...L'ho trovata sul sempre stimolante sito di Undercover Recruiter, la fonte é Linkedin e i suoi membri, comunemente noti come "professional".
I tre elementi più motivanti per un passaggio ad altra azienda o impegno: retribuzione, work-life-balance-opportunità di crescere, e qui non c'è sorpresa.  
Il ruolo com'è scritto sul biglietto da visita - il jobtitle - invece conta poco, ancor meno conta dov'è la sede di lavoro e i rapporti con i capi (qui sono più perplessa, invece).   
La diversità - di età e di genere- gioca un ruolo importante: i millennials venti-trentenni considerano molto lo stipendio e poco la conciliazione lavoro-privato, ma le donne di questa fascia anagrafica non sottovalutano la qualità delle relazioni con il management. 
Gli over 40,  invece, puntano alla qualità della vita e non ai soldi e l'ambizione per carriera e ruoli formali scema con l'età. Il che non é affatto un bene per le aziende, sostiene Maria Cristina Bombelli , che ieri ho intervistato sul suo libro, davvero ricco di spunti e storie,  "Generazioni in azienda" edito da Guerini e Associati. Il video é online su Job24.

La motivazione cambia con la geografia: in Italia risulta che la leva che ci spinge a cambiare lavoro é l'aumento di stipendio (e vorrei vedere il contrario visti i salari in frenata che ci restituiscono le indagini) e così funziona anche negli Usa e in Cina. 
Dietro a tutto questo c'è una considerazione: anche gli iscritti a LinkedIn cosiddetti passivi, ovvero quelli che non stanno cercando un nuovo lavoro non é detto che non considerino la possibilità. Anzi. L'infografica mostra che il 45% é, diciamo così, aperto alle opportunità. 
Il dato é in linea con quel che ho sentito raccontare ieri a un convegno organizzato all'Università di Milano-Bicocca dal Crisp (Centro di ricerca universitario per  servizi di pubblca utilità), tema "La domanda di lavoro sul Web). Ne scriverò in dettaglio la settimana prossima su Job24.
Secondo Andrea Attanà di Linkedin, che era tra i relatori, sui 277 milioni di titolari mondiali di profilo sul social network professionale per eccellenza l'80% non è lì per cercare lavoro, ma per fare networking. Linkedin, ha puntualizzato Attanà,  non é un semplice bacheca per il job posting. E' di più. Ovvero ci si va creare e coltivare relazioni, costruire la propria identità professionale attraverso il confronto con i profili degli altri , e il 40% si collega quotidianamente con un comportamento molto focalizzato: tempo di pemanenza 17 minuti a settimana, niente a che fare con l'ameno divagare di Facebook. Qui, per citare Attanà "si investe tempo". Vero. E' un uso saggio e dall'occhio lungo. Perchè vista in prospettiva, e visto che, soprattutto di questi tempi, non si sa mai,  lo scopo del networking alla fine qual è?     

Fonte: Il Sole 24 ore