Notiziario tematico

Lo chiamano «giacimento di Pil potenziale». È quella quota di crescita in più che l'Italia potrebbe esprimere e che viene invece abbandonata in una «miniera nazionale» di risorse e di stimoli mai davvero sfruttata.

Il calcolo lo ha presentato ieri Bankitalia: se raggiungessimo il traguardo fissato dal Trattato di Lisbona - un'occupazione femminile al 60 per cento - il nostro Prodotto interno lordo aumenterebbe del 7%. Un'elaborazione simile torna in uno studio di Confartigianato, dal titolo evocativo «Donne che resistono».

ROMA - Nel confronto internazionale la donna italiana, quanto a parità con gli uomini, non fa una bella figura. «L'Italia nel divario di genere è tra i Paesi più arretrati». Nelle classifiche mondiali è al 74° posto su 134, «fanno meglio di noi tutti i Paesi europei, peggio solo il Giappone tra le maggiori economie industrializzate». Esordisce così Fabrizio Saccomanni, direttore generale della Banca d'Italia aprendo i lavori del convegno su «Crescita economica, equità, uguaglianza: il ruolo delle donne» organizzato dalla Banca, prendendo spunto dal Rapporto 2012 «sull'uguaglianza di genere e sviluppo» elaborato dalla Banca Mondiale e da una serie di studi e ricerche condotti dagli economisti dell'Istituto.

Perché mai solamente nell'ultimo quarto di secolo – in Italia da assai meno – si è diffuso il convincimento secondo cui la questione di genere costituisceoggiperl'impresauna delle sfide più impegnative per la sua stessa sostenibilità? In parallelo con l'evento della globalizzazione e soprattutto della terza rivoluzione industriale – l'ingresso sistematico delle tecnologie infotelematiche nel processo produttivo – le economie di mercato di tipo capitalistico sono andate soggette a un mutamento di fase. Mentre il capitalismo della modernità – che aveva separato, anche in senso fisico, i luoghi di vita familiare dai luoghi di lavoro – vede la donna vocata principalmente al lavoro riproduttivo, il capitalismo della post-modernità va facendo rientrare a pieno titolo la donna anche nel sistema del lavoro produttivo.

Se lavorate, tenete stretto il vostro posto. E, se avete una figlia, insegnatele, sì, a tenere in ordine la casa, ma spronatela soprattutto a essere economicamente autonoma.
Per una donna non c'è assicurazione migliore.
È quanto mi viene da dire dopo aver lavorato su separazioni e divorzi per scrivere il post che state leggendo. E lo dico con un qualche disagio avendo io molta considerazione per il lavoro femminile come valore in sé e anche rispetto per il matrimonio e per la fiducia nelle e tra le persone.
Penso che sia in corso una trasformazione profonda in tema di famiglia, con regole "tradizionali" nel momento del matrimonio e "all'americana" (non mi viene un termine migliore) nel momento della sua fine, ma senza le stesse regole Usa. Un po' quanto accade in parallelo nel mondo del lavoro. Non è un giudizio "bene/male", ma una constatazione per cercare di capire dove/quali correttivi è necessario adottare. Anche perché l'accelerazione è fortissima, ci si divide sempre di più e sempre prima: a dieci anni dalle nozze, erano ancora insieme 963,8 coppie su 1.000 di quelle sposate nel 1972, ma solo 877,5 di quelle sposatesi nel 2000.