Fare impresa

Il manager della saudita Sabic: puntiamo su start up

Stiamo cercando idee anche in Italia. Non abbiamo problemi di spesa, quanto di trovare opportunità valide».
In un clima di profonda recessione, le parole di Ernesto Occhiello, vicepresidente esecutivo della Saudi Basic Indutries Corporation, risuonano forte. Occhiello è piemontese.
Nasce professionalmente alla Montedison, quindi passa alla Enichem e poi all’americana Dow Chemical. Da circa un anno è alla Sabic, uno dei primi gruppi petrolchimici del mondo, la più grande compagnia pubblica dell’Arabia Saudita, il cui governo detiene il 70% del capitale, un colosso da 33mila dipendenti in 40 Paesi (in Italia ne ha due in Lombardia) con un fatturato di 50miliardi di dollari l’anno.
Occhiello è responsabile del comparto tecnologia&innovazione. Sovrintende alla ricerca, sostenibilità, venture capital e licensing tecnologica. Spiega che la Sabic ha come obiettivo quello di «crescere decisamente ».

 

Squinzi (Confindustria): ma il sistema d’impresa è solido, i rischi d'insolvenza sono limitati

Creativa, flessibile, a tratti geniale ma anche minuta e (troppo) sottocapitalizzata. In tempi di crisi infinita, con la politica che ammazza di tasse e burocrazia il blocco dei produttori, i limiti del nostro modello di impresa familiare emergono nella loro plastica drammaticità: 25mila imprese a rischio fallimento nel 2012, per 625mila posti di lavoro che potrebbero presto sfumare. Numeri da bollettino di guerra, più che da classico autunno caldo. Anche se il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, in serata fa il pompiere: «Certamente la crisi finanziaria più forte e lunga degli ultimi anni si sta facendo sentire sulle imprese italiane. Sono però convinto che il nostro tessuto imprenditoriale sia solido e il rischio di insolvenza limitato. Gli imprenditori italiani - prosegue Squinzi - continueranno a investire nelle loro aziende e a credere nel paese», mentre «il governo e le istituzioni finanziarie non faranno mancare il loro necessario supporto».

Ricerca della Fondazione Nord Est: alla recessione si somma la depressione

La depressione è, se possibile, ancor più pericolosa della recessione. Se alle difficoltà oggettive del fare impresa, si somma anche un immaginario collettivo marcato da una visione negativa, allora è urgente un cambiamento. In particolare quando queste percezioni sono riverberate da chi dovrebbe essere ottimista per natura: gli imprenditori.
Purtroppo, in questa fase turbolenta e incerta non è così. Prevale, fra i titolari d'impresa italiani, un sentimento misto di forte preoccupazione e di disillusione, di gran lunga più accentuato di quanto non si fosse registrato all'avvio della crisi fra il 2008 e il 2009. Come se la sua durata stesse fiaccando le speranze e, non vedendo segni tangibili di un'inversione di tendenza, l'incubo del declino stia progressivamente paralizzando le energie.

Banda "ultralarga", Internet veloce, cento nuove imprese all'anno.
Passato Ferragosto il governo tornerà a occuparsi di conti pubblici, tagli alla spesa, ma soprattutto di sviluppo e crescita. Il premier Mario Monti nell'ultima riunione del consiglio dei ministri ha chiesto a ogni dicastero un piano concreto di lavoro per varare la fase due: da un lato la spending review, dall'altro le ipotesi di lavoro per l'abbattimento del debito pubblico attraverso la dismissione del patrimonio immobiliare.