Innovazione

Sono numerosi i progetti avviati dalle multinazionali per ridurre i ritardi italiani. Saranno coordinati all'interno di un'iniziativa Anitec presentata lo scorso 5 marzo a Roma, che sta raccogliendo un numero sempre maggiore di partner, fra aziende, associazioni, enti pubblici e privati, organizzazioni non profit.

Uno degli aspetti meno discussi della crisi da cui le economie europee faticano a riprendersi è il mancato incontro fra domanda e offerta di professionalità. Lo stallo nel mercato del lavoro è spesso di natura formativa, legata alle competenze. Per questo, la strategia d’attacco per sviluppare un’agenda digitale non di facciata è partire proprio dalla costruzione delle competenze per fare sì che si traducano in quello strumento necessario per permettere a persone la cui professionalità risulta fuori mercato di riscoprire un talento e reinserirsi nel mondo del lavoro. O per dare in mano agli studenti di oggi strumenti più performanti per sviluppare le proprie potenzialità.

È per questo che come Anitec siamo lieti di coordinare per l’Italia “eSkills for Jobs 2014”, il  grande progetto europeo di sviluppo delle competenze digitali. Nel portale, che abbiamo appena attivato, abbiamo già raccolto i contributi del Sottosegretario alla Pubblica Amministrazione, Angelo Rughetti e del fondatore di Didasca, Silverio Carugo. Come suggerito già da questi primi preziosi contributi, si stima che col volgere dell’anno in Europa si avranno quasi 400 mila posto di lavoro vacanti nell’ICT. In Italia abbiamo circa un milione di disoccupati che potrebbero venire utilmente formati e impiegati nei settori ad alta densità tecnologica. Tra le iniziative meritevoli di essere ricordate, proprio quella di Didasca, il primo centro italiano di formazione digitale permanente, con sede a Sondrio, metterà a disposizione di questo milione di giovani non meno di mille centri di formazione qualificati, che opereranno per il biennio 2014-2015 grazie alle 500 aule virtuali di cui Didasca Open University è dotata.

Con una Rete più veloce della luce scaricheremo un film in un secondo (e i chirurghi ci opereranno online). Dal 2020 il segnale Web sarà cinquanta volte più rapido di oggi e stabile ovunque. Tranne che, ipotizza qualcuno, in Italia.

 Le città saranno pervase da flussi di dati che tutto e tutti connetteranno. In ogni luogo e momento. Le connessioni saranno a qualità garantita, e alla Rete potremo affidare intere porzioni delle nostre vite, anche quelle che finora abbiamo avuto qualche remora a consegnarle: l’assistenza medica, il volante della nostra auto, la difesa del territorio. Sono le promesse del 5G. Le reti mobili di quinta generazione appariranno dopo il 2020, ma i Paesi più lungimiranti hanno già cominciato a lavorarci da pochi mesi. L’Italia non è tra questi. 

Noi solo da quest’anno abbiamo un’estesa rete 4G (quarta generazione) che, con velocità di 70 100 Megabit (tecnologia Lte, Long term evolution) ha debuttato due anni fa, mentre i primi Paesi a muoversi erano stati Svezia, Norvegia, Giappone e Stati Uniti, già tra il 2009 e il 2010. Nel frattempo il mondo è cambiato e così non deve sorprendere che ora ad accelerare sul 5G siano la Corea del Sud (patria di Samsung, diventata il principale produttore di cellulari al mondo) e la rampante Cina. Il governo di Seul ha infatti annunciato un piano per varare una rete 5G stanziando l’equivalente di 1,1 miliardi di euro, in parte pubblici e in parte privati (Samsung, Lg, Sk Telecom). 

La società europea non sta sfruttando pienamente le opportunità del digitale, almeno come comunità unica. Gli sviluppi sono spesso confinati nei singoli Paesi e le direttive e le raccomandazioni europee rischiano di non produrre lo sviluppo atteso.

Il settimo pilastro dell’Agenda Digitale Europea si focalizza sui benefici basati sulle opportunità dell’ICT nella società europea. È quindi evidentemente un pilastro che si muove su azioni in continuo divenire proprio perché i modelli di riferimento delle tecnologie ICT applicate ai diversi contesti socio-economici sono soggetti a continua evoluzione.

Non è un caso che, su questo tema, elevato è stato l’impatto della revisione effettuata nel 2012 sull’Agenda Digitale Europea, con l’inserimento di tre nuove azioni, tra cui quella diretta a includere le iniziative sulle smart city e sulle smart community.

Obiettivo specifico della Commissione Europea è favorire la diffusione capillare e la messa in pratica delle enormi potenzialità delle tecnologie digitali, così da migliorare la qualità della vita della società europea, soprattutto intervenendo sul tema del consumo energetico, della mobilità intelligente, della vita degli anziani, dei servizi sanitari e in generale dei servizi pubblici, oltre che promuovere la digitalizzazione del patrimonio culturale europeo e il suo più ampio utilizzo da parte della popolazione.

«L’Italia ha bisogno di una nuova e radicale consapevolezza sui bisogni d’innovazione che interessano la Pubblica amministrazione, le imprese e la società civile per accompagnare il Paese verso un modello economico nuovo. E lo “smart working” è una delle chiavi strategiche per accelerare questo processo visto che in Italia, secondo l’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano, si potrebbero risparmiare ben 37 miliardi di euro l’anno per le imprese, oltre il 2% del Pil, di cui 10 solo dalla logistica». È quanto emerso durante l’evento annuale degli Stati Generali dell’Innovazione che si è tenuto oggi nella sede della Regione Lazio, a Roma. Una giornata intensa di confronto sui bisogni digitali del Paese, le prospettive dell’efficienza al cospetto dei cambiamenti climatici, i processi legislativi che accompagnano a livello locale e nazionale la modernizzazione.

Stati Generali dell’Innovazione ha proposto il “lavoro in mobilità by default” per la Pubblica Amministrazione inserito nel decreto Crescita 2.0 ma sostanzialmente ignorato dalle amministrazioni stesse: «La possibilità di migliorare la maniera di lavorare in ampi settori della società italiana c’è, la normativa in parte pure, ma ora bisogna agire, afferma Nello Iacono, vicepresidente di Stati Generali dell’Innovazione- lanciamo un appello al Presidente del Consiglio Matteo Renzi, affinché la norma sia applicata nella Pubblica amministrazione, e si vada oltre promuovendo il lavoro in mobilità per tutti».