Welfare innovativo

Sono in aumento i casi di colleghe spinte alle dimissioni— denunciano in Manageritalia, associazione dei dirigenti dei servizi —. La crisi viene utilizzata per liberarsi di quella fetta di dipendenti che, a causa di pregiudizi duri a morire, vengono considerati meno produttivi». Il paradosso è che proprio la difficile congiuntura spinge le mamme lombarde ad aggrapparsi al posto. Le dimissioni presentate nel 2009, presso le Direzioni provinciali del lavoro della Lombardia, da neomamme nel primo anno di vita del bambino (periodo in cui vige il divieto di licenziare) sono state 4.571 contro le 5.819 del 2008. Morale: nel giro di dodici mesi sono diminuite del 22%.

Niente male se si tiene conto che negli ultimi anni questo dato avevo registrato una crescita continua: 4.608 dimissioni in regione nel 2006, 5.551 nel 2007, 5.819 nel 2008. «In crisi come in guerra le donne si mobilitano— scherza ma non troppo la consigliera di parità supplente in Regione, Sabina Guancia —. Il senso generale di incertezza spinge a tenersi ben stretto quello che si ha. Anche perché il posto del marito è spesso più traballante di quello di mogli e compagne». «Meno tempo e meno risorse economiche: in tutto questo conciliare famiglia e lavoro diventa sempre più difficile e la qualità della vita delle donne peggiora», tira le somme Guancia. La diminuzione delle dimissioni in provincia di Milano non deve comunque trarre in inganno. Avere uno o due figli lascia pressoché invariato il tasso d'occupazione femminile in Olanda e in Francia, mentre in Italia determina un drastico calo dell'occupazione: meno 6,8% nel caso di un figlio e meno 15,7% nel caso di due.

altIl Global Gender Gap Report misura le differenze di genere in quattro aree specifiche della quotidianità: opportunità professionali e partecipazione alla vita economica; livello di istruzione; salute e aspettativa di vita; partecipazione alla vita politica. L’edizione 2009 ha considerato 134 paesi – l’Italia è arrivata 72esima tra questi (67esima nel 2008).

L’indice del rapporto stabilisce come i paesi dividono le proprie risorse e opportunità tra uomini e donne, indipendentemente dal livello assoluto di tali risorse.

Fonte: World Economic Forum
(pubblicato il 27 ottobre 2009)
Complice la crisi, il lavoro part-time prende quota e il futuro potrebbe tingersi di rosa. Così sembra, prendendo in esame i dati di una ricerca internazionale condotta da Regus, che prevede nei prossimi due anni un forte incremento delle assunzioni a tempo parziale di donne intenzionate a rientrare al lavoro dopo il congedo per maternità.

Il 44% delle aziende (quasi una su due), segnala lo studio, punterà sulle mamme: grandi lavoratrici, per natura affidabili, mature e con competenze elevate, ma per le quali il ritorno all’attività produttiva è spesso problematico. Con il 47% delle società, i settori più inclini ad adottare questa strategia sono quello finanziario e manifatturiero, seguiti da marketing, comunicazione, consulenza, sanità e retail (45%), mentre per l’Ict, un mondo ancora caratterizzato da una elevata presenza di personale maschile, la stima scende al 39%.

Prima la buona notizia. Emilia Romagna, Toscana e Umbria hanno le carte in regola per raggiungere l’obiettivo di Lisbona sui nidi: 33 posti ogni 100 bambini entro il 2010. La cattiva notizia è che il resto del Paese non ce la farà. Secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto degli Innocenti (incaricato del monitoraggio sui nidi) l’Italia è ferma a quota 23 per cento. Una percentuale ottenuta contando davvero tutto. Anche gli spazi gioco e i posti offerti alle materne a bambini che non hanno ancora tre anni. Se si tenesse conto solo dei nidi in senso stretto allora la copertura sarebbe ferma al 16 per cento.

Il problema numero uno quando si parla di servizi per l’infanzia sono i soldi. La coperta delle risorse è sempre più corta. Come spiega bene il rapporto sui costi dei nidi del Gruppo nazionale nidi infanzia insieme con il Cnel «il ritardo dell’Italia non è da imputare a enti locali disattenti ma soprattutto ai governi che si sono succeduti dagli anni Settanta». Dal ’77, ultimo anno di risorse statali finalizzate, bisogna aspettare la Finanziaria 2002 per vedere un nuovo impegno dello Stato, anche se furono distribuiti solo 50 milioni. Poi, con la finanziaria 2007, (governo Prodi) si è messo in campo un piano triennale per i nidi che ha stanziato 727 milioni di euro in tre anni, di cui 446 dello Stato e 281 delle Regioni.