Notiziario tematico

Elena Cattaneo, senatrice a vita, scienziata e docente all’Università di Milano, spiega su Repubblica come a causa di una cattiva e scarsa informazione le conquiste della scienza, dell’innovazione o della medicina – quelle su cui «le grandi economie basano il loro futuro» – non vengano mai trasformate in Italia in un vantaggio per tutto il paese. 

 

Nonostante i freni cui cultura, innovazione, scienza e medicina sono da sempre sottoposti nel nostro paese, l’Italia dispone di competenze scientifiche, umanistiche, tecnologiche e imprenditoriali, abituate a sfide e a vittorie mondiali, dimostrando così che ci siamo anche noi. Eccome. Tuttavia nei campi più diversi ci si è trovati spesso di fronte a soluzioni legislative che hanno dato l’idea di “farsi un baffo” di queste raggiunte competenze, così come dell’esame delle fonti e dei fatti controllati. Il risultato è stato che in troppe occasioni non si è riusciti a cogliere al massimo le opportunità di sviluppo economico e i miglioramenti sociali che scienze e tecnologie e la cultura in generale potevano offrire. In quelle occasioni a perderne è stata anche la crescita civile della nazione, dei suoi cittadini, mal allenati al pensiero critico da pratiche comunicative populiste e demagogiche. Cittadini ai quali non si spiega cosa siano gli ogm (anzi, si vieta persino di studiarli… per poi importarli dall’estero); che la diagnosi pre-impianto è una conquista medica e sociale; che Stamina è l’anti-compassione; che il metodo Di Bella — sul quale ora alcune Regioni pare investiranno (non è il caso che il Governo controlli?) — non è medicina; che la sperimentazione animale è inevitabile; che i vaccini non causano l’autismo e che i terremoti non si prevedono ma che il territorio può essere difeso salvando vite e denaro.

Parla Jerome Ballarin, presidente dell'Osservatorio francese per la parità nelle imprese: "Il modello da imitare è la Scandinavia".

Cita un proverbio svedese: "L'emancipazione delle donne attraverso il lavoro, l'emancipazione degli uomini attraverso la famiglia". Jerome Ballarin guarda alla Scandinavia come al modello da imitare. Ma il presidente dell'Osservatorio francese per la parità nelle imprese ha anche un riferimento in patria, è il "Contratto sociale" di Jean-Jacques Rousseau che anticipò, prima della Rivoluzione, il principio secondo cui "ogni uomo nasce libero". Allora si parlava ancora solo di uomini (qualche anno dopo la Dichiarazione universale dei diritti sarà sempre "dell'uomo") ma la strada verso l'uguaglianza era cominciata e non sarebbe più stato possibile tornare indietro. Ballarin ha battezzato la sua società di consulenza "1762", anno in cui venne pubblicato il "Contratto sociale". La missione di Ballarin è infatti convincere aziende e datori di lavoro a istituire un nuovo equilibrio tra famiglia e lavoro.

"Qualche anno fa  -  ricorda Ballarin - ho capito che dovevamo impegnarci tutti insieme, imprese, lavoratori e Stato, per fondare un nuovo contratto sociale che riesca a garantire il benessere degli individui senza danneggiare la produttività delle aziende". È nato così nel 2008 l'Osservatorio fondato da Ballarin, che è una sorta di Signor Conciliazione lavoro/famiglia, quasi la quadratura del cerchio. La Francia è uno dei paesi europei con il più alto tasso di occupazione femminile in Europa, il 76,6%, ha il record di natalità (2,2 figli per donna) ma è anche una nazione in cui il tempo dedicato dai padri alla cura dei figli e alle occupazioni domestiche non è aumentato neanche di un minuto negli ultimi dieci anni. Uno squilibrio clamoroso. 

Il primo maggio, festa dei lavoratori, verrà celebrato tra poche ore. Con la vicinanza della ricorrenza, ci siamo chieste come vivono il lavoro e la carriera le donne di oggi. Partendo da una ricerca effettuata lo scorso anno da LinkedIn, il Social Media dedicato all’ambito business, proviamo a fare il punto su come vivono la sfera professionale le donne.

Secondo l’Istat, in Italia lavora una donna su due e solo il 47,1% ha una occupazione (la media europea è del 60% secondo dati Ocse). Dal punto di vista della retribuzione, l’Italia di trova al 124° su 136 posizioni rispetto alla rapporto di parità tra trattamento economico maschile e femminile. Le donne nel nostro Paese guadagnano in media il 12% in meno degli uomini.

Gli oneri e le mansioni di cui si fanno carico le donne non terminano una volta uscite dal posto di lavoro. Il “gentil sesso” infatti, una volta staccata la spina dalla vita professionale, si vede investita di ulteriori 36 ore di attività domestiche come ad esempio la cura e la pulizia della casa.

Ma cosa sognano le donne al giorno d’oggi per la loro sfera professionale? Cosa è cambiato rispetto a  5 o 10 anni fa? LinkedIn ha condotto lo scorso anno una ricerca dal nome “What Women Want @Work”, intervistando più di mille donne di tutto il mondo, Italia compresa. L’obiettivo era quello di comprendere desideri e visioni che le donne lavoratrici al giorno d’oggi hanno sviluppato rispetto al proprio ruolo, definire in cosa consiste per loro il concetto di “successo” e l’idea di “carriera”, andando ad indagare come questi sono cambiati negli anni.

-1% in un anno gli addetti nelle aziende milanesi e – 4% nelle italiane. Un posto di lavoro su quattro in Italia è creato dalle imprese lombarde. Sono  4 milioni di posti su 16, di cui quasi 2 nelle imprese milanesi. Imprese di Milano specializzate nel terziario. Imprenditori milanesi: le donne danno 140mila posti di lavoro, gli stranieri 80mila, i giovani 51mila.

Sono 3,7 milioni gli addetti delle 814mila imprese lombarde. Lavorano non solo in regione, ma anche nelle altre sedi d’impresa. Uno su quattro dei quasi 16 milioni di addetti creati da 5,2 milioni di imprese italiane. A Milano sono 1,8 milioni posti creati in prevalenza sul territorio, ma anche fuori, dalle 286mila imprese. Tengono le imprese milanesi nella loro capacità di offrire lavoro, con addetti abbastanza stabili, in lieve calo nell’ultimo anno (18mila in meno, -1%) rispetto al dato lombardo -2% e nazionale (-4%). Chi lavora in una grande azienda, con oltre 50 dipendenti, in un caso su quattro si trova in un’azienda lombarda, la metà di questi lavoratori sono in una impresa milanese. Realtà terziaria quella del lavoro nelle imprese milanesi: il 52% degli addetti sono in questo settore rispetto al 41% italiano e il 43% lombardo.