Notiziario tematico

La Commissione europea ha annunciato l'avvio della seconda fase della campagna di informazione sul 'gender pay gap', il divario retributivo tra donne e uomini, lanciata il 3 marzo 2009 a Bruxelles dal commissario europeo per l'Occupazione, gli Affari sociali e le Pari opportunità Vladimir Špídla.

Attraverso questa iniziativa la Commissione vuole sensibilizzare i cittadini europei al problema del gender pay gap, che costituisce a tutti gli effetti una discriminazione di genere: nell'Unione europea le donne guadagnano in media il 17% in meno degli uomini, e in alcuni Stati il divario è in crescita.

Tra le attività di questa seconda fase, che coinvolgerà tutti i 27 Stati membri al fine di sensibilizzare i cittadini dell'UE circa la parità di retribuzione e le misure per affrontare tale divario tra i sessi, è previsto un programma di promozione del partenariato il cui obiettivo è la creazione di una rete di contatti che servirà per diffondere le informazioni, i messaggi chiave e i materiali informativi.


Per maggiori informazioni:  http://ec.europa.eu/social

Fonte: Rete Pari Opportunità
(notizia pubblicata l'1 marzo 2010)

Mentre crescono in tutta Europa gli strumenti di flessibilità oraria, il nostro paese rimane ai valori minimi. Diffusi in parte solo l'entrata e uscita "mobili". Maglia nera all'Italia anche per numero di imprese che prevedono la distribuzione ai dipendenti di una quota dei profitti. I risultati dell'indagine European Working Conditions di Eurofound in 27mila aziende di 30 nazioni.

Entrata e uscita "mobile". Oltre la metà delle imprese europee dà ai propri lavoratori almeno la possibilità di gestire flessibilmente, in un giorno lavorativo, l'orario di entrata e d'uscita. Non tutte loro però offrono questa opportunità indistintamente a ogni dipendente. In media, scrivono gli autori dell'indagine, questo accade per i due terzi della forza lavoro. Solo il 45 per cento delle imprese dà tale diritto a tutti dipendenti. Le nazioni dove è più elevata la porzione di lavoratori coinvolti sono la Finlandia, il Regno Unito, la Danimarca, la Svezia, la Germania e l'Austria dove la quota è sempre sopra o solo poco al di sotto del 70 per cento.

Competenze sempre più elevate e aggiornate giocano un ruolo decisivo per la competitività delle imprese e la qualità del lavoro. È dunque prioritario l'obiettivo di investire sulle risorse umane e quindi di integrare il sistema dell'istruzione con quello della formazione e del lavoro in un ciclo virtuoso. In questa prospettiva la commissione scuola e formazione di Confindustria ha organizzato martedì 2 marzo a Bergamo un incontro sul tema "La formazione continua e la produttività delle imprese: il ruolo dei fondi interprofessionali".

In collaborazione con il consiglio centrale Piccola industria, Confindustria Bergamo, Fondimpresa e Fondirigenti, il convegno ha inteso promuovere la formazione continua presso le imprese associate, in particolare le Pmi, definendo azioni condivise per un uso più ampio dei fondi, che sono risorse delle imprese stesse, ma che le imprese spesso utilizzano in modo non sufficiente, per le complesse procedure di accesso verso le quali, nell'occasione, è stato anche sollecitato un processo di semplificazione.

Un patto sociale tra lavoratori e imprese per realizzare la riforma fiscale. A lanciare la proposta è il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, intervenendo a 'La telefonata' su Canale 5. 'Noi - ha spiegato - dobbiamo essere uniti con Confindustria, artigiani e commercianti, rinunciando ciascuno alla propria opinione, per trovare una convergenza che costringa la classe dirigente a fare la riforma, visto che nessun governo ha voluto mai riformare il sistema fiscale perché è molto più comodo far pagare lavoratori e pensionati''. Quello che serve, sottolinea il leader del sindacato, è ''una riforma integrale".

"Non importa - dice - se ci metteremo un anno, tutti devono porsi l'obiettivo di modificare un sistema fiscale che non regge più ormai da almeno un ventennio. L'Italia è cambiata: ci sono molti lavoratori dipendenti - sottolinea - che pagano fino all'ultimo centesimo perché obbligati da un sistema di ritenuta alla fonte, mentre gli altri non sempre lo fanno. Il nostro 'tax day', la nostra manifestazione di sabato scorso contro le tasse, non è la rivendicazione di qualche piccola restituzione. Questo è successo nel corso di tanti anni e ora siamo stufi''.